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Donatella Di Cesare - Terrore e modernità

Terrore e modernità di Donatella Di Cesare è il tentativo di dare una comprensione filosofica al fenomeno del terrore globale così come si presenta oggi e per arrivare a questo Di Cesare analizza lo sviluppo del terrore di ieri, sia il Terrore di Stato, quello giacobino, che quello innescato dalle avanguardie rivoluzionarie battezzate terroristi dai loro avversari. Quanto bisogna scavare, per arrivare alla jihad globale. Tanto quanto serve a determinare lo scarto che aiuta a comprendere il fenomeno, a capirlo ma non a giustificarlo. Di Cesare giustamente individua la morte come l’unico atto di vera rivolta alla sovranità.

La morte come unico atto fuori controllo

In un mondo dove il controllo si estende e obbliga a pratiche sempre più asfissianti, la morte è l’unico atto che è davvero fuori dal raggio di potere della sovranità. In poche parole l’esercizio del controllo può agire su tutta la vita biologica, dalla culla a un minuto prima di morire, ma non può impedire l’evento mortale. La tecnica e la ricerca provano ad allungare la vita e a prolungare la salute in modo indefinito, ma non possono impedire a nessuno l’esercizio della decisione di morire. E’ quello che noi occidentali non riusciamo a comprendere. La sovranità esercita il controllo e la giurisdizione fino a un minuto prima che il suicida tiri la cintura del detonatore e inneschi la bomba, che manderà in frantumi il suo corpo e tutti quelli attorno a se. Quindi l’attentato suicida come unica espressione di libertà in un mondo altrimenti oppressore, che schiaccia i deboli in basso e favorisce i ricchi e bianchi in cima alla piramide, per effetto di energie ascensionali che dal basso vengono perse di vista, la cui ineluttabilità sembra un dato di fatto, un processo naturale come le piante che crescono o il fatto che ci sia l’ossigeno nell’aria.
Qui nascono le radici dell’odio, in questo mondo di Zardoz dove soffitti di vetro impediscono di salire o rubare a quelli che vivono di sopra. Oggi i super ricchi vivono in mondi lontani e irraggiungibili, protetti da sensori, bodyguard e chip che permettono la localizzazione in caso di rapimento e l’eliminazione fisica di chiunque provi a toccarli. I super ricchi si avvalgono di piccoli eserciti personali, soldati addestrati dai loro Stati (che hanno investito i soldi delle tasse su di loro) per difendere e uccidere, per combattere le guerre asimmetriche di oggi e che si riciclano in bande mercenarie e guardie del corpo. Gli irraggiungibili sono protetti e ci sono già loro lassù: non è dato ad altri né in questa vita né in successive di arrivare al loro livello.

Il soffitto di cristallo

I più svegli, i più intelligenti, i più feroci trovano rifugio nella fede. Non ci sarà mai ricompensa da questa parte. Qualcosa, forse, nell’aldilà. Capiscono che la loro vita di rubagalline, spacciatori e piccoli criminali nelle periferie è quella dei topi che mai saliranno dalla fogna, ma loro vogliono emergere, qualcuno vede sprazzi di luce, capisce che la vita è un’altra, ma la salita è scivolosa e piena di fango e tanta, troppa merda da mangiare e soprattutto senza alcuna certezza.
Mai come in quest’epoca il patto sociale si è infranto: non è vero che più si lavora e più si guadagna, più si mette da parte e più si sale, si starà meglio, si mangerà di più e meglio, si diventerà migliori e i figli partiranno da un gradino più alto. Oggi o si lavora troppo o non si lavora per niente; chi lavora troppo mangia male, accumula stress, insonnia e malattie psicosomatiche; chi non lavora vive di elemosina e di umiliazioni quotidiane. Sono sparite le promesse che avevano fatto a scuola: studia e lavora duro e il lavoro ti verrà a cercare, i soldi arriveranno come premio ai tuoi sforzi. E invece può capitare, come in Italia, che con una laurea in tasca (come giurisprudenza, ad esempio) bisogna lavorare gratis per almeno due anni, oppure pagare per poter lavorare. E’ chiaro che il soffitto di vetro per arrivare all’autosufficienza e alla dignità si alza sempre di più e che le nuove generazioni vivranno peggio e arriveranno – forse – ai risultati dei genitori molto più tardi di loro.

Il modo globale delle elite

Il tutto mentre un mondo di elite costruito su evasione, elusione fiscale, riciclaggio e speculazione finanziaria si protegge alzando l’asticella: istruzione all’estero, università Ivy League, master in giro per il mondo, tirocini durante gli studi nelle aziende degli amici di famiglia e ingresso dalla porta principale.
La nuova superborghesia mondiale formata da patrimoni che si contano in case a Londra, Hong Kong, New York, Singapore, Parigi e Barbados forma una classe autoreferenziale che controlla flussi di denaro e coltiva relazioni, contatti, influenze. Un ordine di vendita o acquisto di azioni, obbligazioni o titoli di Stato può cambiare in meglio o in peggio la vita di milioni di persone, determinare i bilanci degli Stati e la quantità di tasse per pagare i debiti.
In un mondo così ingiusto, dove le vecchie borghesie nazionali si proletarizzano – senza creare cultura di se o coscienza di classe – il Leviatano domina con l’estrema minaccia di dare la morte a chi non obbedisce alle regole.
Fin qui arriviamo noi occidentali, ma cosa succede se è il terrorista a darsi la morte? Il Leviatano è impotente. Può dare la morte al terrorista, ma solo dopo che è uscito allo scoperto e ha compiuto la sua missione di uccidere più persone possibile. Ma non è il Leviatano a dare la morte, è il terrorista che ha già deciso come morire, e dovrà farlo con il massimo clamore possibile. Qui entriamo nell’altro salto che è stato fatto con il jihadismo e cioè che senza l’esistenza dei social verrebbe meno la notorietà, sia del gesto che del suo autore.

Narcisismo estremo

Vien da pensare quello che Donatella Di Cesare appena accenna: e se tutto questo fosse da ricondurre a una estrema forma di narcisismo? In fondo la storia di Narciso è una storia di morte: contempla la sua immagine nell’acqua, se ne innamora, perde l’equilibrio, cade dentro e affoga. La storia dei jihadisti è una storia di esposizione mediatica prima con proclami, oppure con esibizione di atrocità: torture, decapitazioni, brutalizzazione di cadaveri. Poi con gli onori resi dopo la morte dai seguaci in rete. Solo attraverso l’azione si ottiene la beatitudine e il premio del ricordo di chi resta; chi si pente, chi all’ultimo si tira indietro, non è solo un traditore, ma scivolerà nell’oblio, è come se non fosse mai esistito.
Il jihadista colpisce apposta nei punti maggiormente sorvegliati da telecamere o affollati da persone che con il telefono non mancheranno di riprendere l’azione, che rimbalzerà su tutti i social e i media. Il jihadista, per riprendere Debord, costruisce attorno alla sua figura uno spettacolo, ma nel fare questo rientra a pieno titolo nella società dello spettacolo, quella società che vuole combattere e annientare, perché la società dello spettacolo è un impero dei segni visivi, sonori, testuali, che spinge la tendenza al narcisismo.
Con il suo gesto il jihadista non distrugge lo spettacolo, al contrario ne amplifica la potenza e riesce a inglobare anche la morte nella sua rappresentazione. Parliamo, alla fine, della morte vera, dopo che lo spettacolo ci ha abituato alle morti per fiction o per game.

Una nuova provincia del gioco

Questa morte vera però ci disturba. Al momento, ci pare che un limite sia stato passato e una nuova provincia ribelle sia stata annessa al gioco; una provincia piena di scorie nucleari e sostanze tossiche che nessuno vuole, ma che fa parte del territorio e della quale non riusciamo a liberarci.
E’ un periodo che è sparito il concetto di antitesi e molti preferiscono parlare di rovescio, un termine che andrà sempre più di moda. In questo senso il terrorismo è il rovescio della globalizzazione, ma non offre soluzioni, non da prospettive, così come la stessa globalizzazione sfida e perde il concetto di progresso che avevamo in era industriale. Da tempo anzi, è entrato di moda il concetto di limite. Limite fisico con i confini definiti alla vita sulla Terra; limite politico dell’Occidente, che non arriva concepire la morte e la morte per uccidere innocenti; limite biologico che stringe i confini delle possibilità, del movimento, delle parole e delle idee in un mondo inquinato dal terrore.
Limite e rovesci, sono questi i concetti con cui dobbiamo fare i conti e non significano progresso indefinito verso un meglio che diventa ancora meglio generazione dopo generazione. E’ necessario ripercorrere la Storia, che finora è stata pensata come marcia verso il progresso. Bisognerà disegnare una storia intesa come cammino verso il limite, verso il riconoscimento delle situazioni limite e dello spostamento di questo limite.