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Robert Macfarlane - Underworld

Il sottotitolo dell’edizione italiana, Un viaggio nel tempo profondo, da l’idea di cosa andremo a leggere. I libri di Macfarlane non sono mai racconti di viaggio o diari di esplorazioni o escursioni, ma ogni passo, ogni sguardo che descrive con accuratezza quanto sta attorno, dalla roccia, all’albero, al lichene, sono l’occasione per riflessioni legate a quel momento, che portano ad altre domande, a evocare altri mondi, a lasciare ipotesi e tarli nella testa di chi legge.
In Le antiche vie, il suo lavoro precedente, la cosa che più mi era rimasta impressa era la sua ipotesi che ai tempi dell’ultima glaciazione, quando le isole britanniche erano unite al continente europeo, esistesse una rete di strade e sentieri percorse dagli uomini di allora, estese per centinaia di chilometri. Ora queste vie sono state coperte dal mare del Nord e non esistono che pochi, labili indizi dell’esistenza di queste antiche strade e nessuno potrà mai accertare fino in fondo questa ipotesi, ma la capacità di Macfarlane è quella di saper vedere questi indizi, soffermarsi su particolari che altri trascurerebbero. Solo avendo in mente un disegno più vasto e le conoscenze necessarie è possibile disegnarne i confini e le funzioni, senza per forza dover dimostrare qualcosa, senza partire da ipotesi da verificare a ogni costo: Macfarlane offre suggerimenti, mai teoremi.

Il confine

D’altronde, chi potrebbe mai dimostrare con certezza la vera funzione dell’arte rupestre celata all’interno di grotte, in sale a centinaia di metri se non chilometri in profondità? Quelle impronte di mani in positivo e in negativo lasciate dagli uomini di venticinquemila anni fa nelle grotte del nord della Spagna e del sud della Francia non sono tentativi di toccare le mani degli avi dell’aldilà, e la roccia non è una membrana che diventa un punto di contatto?
Macfarlane è affascinato dal concetto di limine, dal latino limes, confine. Le grotte si trovano ai confini, spesso lungo le coste, come in Norvegia, o su isole o su qualunque saliente geografico che introduca l’idea di passaggio. Il passaggio nel mondo sotterraneo è l’attraversamento di un confine dove lo spazio e il tempo assumono percezioni diverse dalla vita in superficie.
Addentrandosi nelle grotte, si viaggia nel tempo, perché maggiore è la profondità e più vicino si va al presente, inteso come il tempo in cui i fatti sono avvenuti e nell’arco temporale delle forze geologiche che hanno modellato sale e cunicoli. Il ritrovamento di testimonianze umane datate da sessanta a ventimila anni prima, ma anche a duemila anni fa nelle grotte delle Lofoten, riportano indietro la lancetta nello stesso momento in cui l’osservatore vede figure disegnate nella roccia che seguono le curvature, dando l’idea di movimento, in ambienti che lentamente continuano a trasformarsi.
Potrebbero essere queste sensazioni i soli tentativi di arrivare all’idea di tempo profondo, ovvero alla comprensione che nel sottosuolo il tempo lineare sparisce e la dimensione tempo si contrae verso il momento, come una derivata sull’asse cartesiano e contemporaneamente, si dilata su una scala di milioni di anni. Noi, suggerisce Macfarlane, siamo su questa curva, su un limine.

Il limine è una membrana di passaggio

Bisognerebbe indagare sul concetto di limine, da non confondere con quello di limite. Siamo stati abituati dal pensiero ecologista a considerare giustamente il nostro pianeta come un insieme organico di risorse limitate con le quali dobbiamo misurarci attraverso politiche di contenimento e programmazione, concetto che poi si estende ad altri campi e che determina infine un approccio all’esistenza di tipo conservativo. Questo approccio non è così lontano, è anzi gemello della società del controllo in cui stiamo vivendo, consapevoli e consenzienti.
Siamo invece a malapena a conoscenza delle possibilità offerte dalle smarginature, come direbbe Elena Ferrante ne L’amica geniale a proposito di Lila, che soffre di crisi in cui perde i contorni delle cose. Oppure pensiamo all’idea espressa da Simon Reynolds in Post punk 1978 – 1984, secondo cui è nella zona in cui si incontrano la parte specializzata della classe operaia e la piccola borghesia che ha avuto origine il movimento del punk che non è, solo furia distruttrice (molto più simile nei concetti all’attuale idea di disruption, tanto cara ai guru e ai vampiri della Silicon Valley), ma anche apertura verso nuovi suoni e nuova musica, come lo svalutato prog, con la sua idea di evoluzione e fuoriuscita dalla gabbia della ballata strofa / ritornello. Il limine è una membrana di passaggio fra i mondi, come quella che i nostri antenati credevano di incontrare appoggiando le mani sporche di gesso sulle pareti delle caverne
Crisi e creazione, distruzione di vecchi modelli e ideazione di nuovi, che dovranno lottare per non diventare paradigmi, tutto questo è contenuto nell’idea di limine. Noi dobbiamo metterci sulle coordinate della derivata prima, al confine della roccia dove sono impresse le mani in positivo, quelle dei vivi, e delle mani in negativo, quelle dei passati, degli spiriti; in questo modo entriamo a far parte del tempo profondo, dove prima osserviamo quelli della nostra specie assieme agli animali, ma il nostro sguardo comincerà a dilatarsi oltre, verso gli eoni precedenti e con l’immaginazione a quelli futuri, quando qualcuno troverà le nostre tracce.

Un testamento

Chissà perché Underworld assomiglia così tanto a un testamento, forse perché si occupa di luoghi sotto la superficie, di buio, di tempo profondo. Si conclude con una specie di testamento, nell’isola finlandese di Olkiluoto dove vengono seppellite le scorie nucleari delle vicine tre centrali ed è interessante la digressione di Macfarlane a proposito del problema che si sono posti negli Stati Uniti per lasciare un messaggio ai posteri fra dieci, venti, centomila anni, quando forse la nostra specie si sarà estinta o, se esisterà, potrebbe non avere più memoria di quanto avevano fatto i loro progenitori nel ventesimo e ventunesimo secolo (ammesso che gli anni continuino a essere contati come ora). E’ questa relativizzazione del tempo che colpisce nel libro di Macfarlane, dove per paradosso un istante assume un significato enorme quando misura il tempo che occorre al fronte di un ghiacciaio a precipitare in mare, portandosi con se la storia geologica di centinaia di migliaia di anni frantumandosi in pochi secondi, o dove le pitture degli uomini di ventimila anni fa ci parlano come se fossero andati via il giorno prima, precipitandoci nel tempo profondo delle cavità sotterranee, che implica il passaggio a un’altra dimensione, prima di tutto della mente.
E’ un altro concetto di tempo, ancora inesplorato, di cui dobbiamo prendere coscienza cominciando a pensare che dobbiamo misurarci con milioni di anni e al tempo stesso accettare che non dureremo per sempre; per questo che dobbiamo preoccuparci del messaggio che lasceremo a chi troverà i nostri resti, che dovrà avvertire della pericolosità gli esseri che si imbatteranno nelle nostre testimonianze. Si è posto il problema di quale linguaggio usare ed è stata creata una commissione per trovare un modo di far sapere ai posteri che quel luogo è pericoloso e che è proibito entrare o asportare quello che troveranno. Le ipotesi vagliate sono state molteplici, dall’uso di un’architettura ostile fino all’idea di un poema da tramandare oralmente, che però ha il limite nella fine della specie Homo. Ma, come ricorda Macfarlane a proposito del Kalevala, il poema nazionale finlandese, che era stato tramandato oralmente come una raccolta di diverse storie e raccolte per iscritto soltanto nell’Ottocento, la soluzione del racconto tramandato oralmente potrebbe essere la più duratura, con tutte le possibilità di errori che questo tipo di trasmissione può comportare. Se ci pensiamo, anche i poemi omerici, o la Bibbia sono raccolte di racconti che venivano tramandati oralmente.
Underland in questo senso sembra essere un testamento, cioè un lascito in favore dell’estensione della coscienza oltre al comune senso di fratellanza (che implica in gran parte il presente), per una sua espansione nel passato e nel futuro, dove queste due dimensioni cambiano di significato, deformandosi come le rocce piegate dal passaggio dei ghiacciai, che continuano a vivere ogni inverno in nuovi strati in superficie, mentre in fondo, negli abissi blu della luce rifratta miliardi di volte, la materia racconta la storia del pianeta di miliardi di anni fa.