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Qiu Xiao Long - La misteriosa morte della compagna Guan

Titolo fascinoso, da fumetto, per questo esordio alla scrittura dell’esule cinese Qiu Xiaolong. Anche se la Shanghai descritta da Qiu è quella che lui ha lasciato nel 1990, si nota la distanza nel tempo, perché il romanzo è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 2000. Sono solo dieci anni, ma in quel periodo la Cina si è trasformata da un paese in uscita dal blocco comunista a un regime in cui la forza del regime protegge il capitalismo e coopta i nuovi miliardari nei quadri dirigenti.
Il fatto di scrivere in un’altra lingua – l’inglese – e per un altro pubblico, quello americano e mondiale, portano l’autore prima di tutto ad adempiere all’ingrato compito di dover spiegare e scrivere per un pubblico che non è il suo. Tutto questo si vede – e fin troppo – nella stesura del romanzo. Credo che questa lettura possa essere di aiuto anche a un giovane cinese di oggi, uno di quelli nati negli anni in cui è ambientata la vicenda o appena dopo l’inizio del millennio.
Sono gli anni delle riforme di Deng. E’ lui il nume tutelare, che veglia dai ritratti in ogni casa o ufficio come un imperatore senza corona, rimasto al comando come presidente della Commissione Militare Centrale, l’ultima delle tre cariche che aveva occupato durante la sua era, perché le altre due, la Segreteria del PCC e la Presidenza della Repubblica le aveva già lasciate ai suoi designati successori. E’ la Cina fra il massacro di piazza Tien An Men e il ritorno degli “istruiti” dalle campagne. Ma mentre di piazza Tien An Men si accenna solo alla fine, il vero trauma descritto è quello dello shock della Rivoluzione Culturale.

La Rivoluzione Culturale

Qiu ci fa capire bene cosa abbia significato per milioni e milioni di persone essere strappate dagli studi, dal lavoro, dalle proprie case, famiglie e amici, per essere mandati in punti imprecisati all’interno dell’impero, a svolgere lavori manuali sottoqualificati e superati, a essere obbligati a vivere in un luogo lontano, che non avevano scelto, in nome di un’astratta ideologia che voleva dissennatamente tagliare il paese dalle teste pensanti, in un livellamento verso il basso che aveva raggiunto nella Cambogia di Pol Pot il suo punto più atroce.
E’ questo che l’ispettore Chen ha appena sfiorato, ma che il più anziano ispettore Yu, il contraltare e secondo di Chen, ha vissuto per anni, assieme alla moglie.
L’ispettore Yu era riuscito a superare quei lunghi anni bui grazie alla presenza della moglie, che le famiglie erano riuscite a far stare insieme e che in forza di quei legami erano riuscite a creare quella rete necessaria a non lasciare le persone sole in balia del regime.
Come ha detto di recente Masha Gessen, lo scopo di ogni regime totalitario è quello di creare instabilità e insicurezza, isolando gli individui, impedendo che possano riunirsi.
Qualunque tipo di associazione o comunicazione orizzontale, fra colleghi o amici o famigliari, rappresenta una minaccia che in un futuro potrà rivelarsi un pericolo. Da qui la volontà di dividere e isolare, di far sentire la persona così fragile da affidarsi corpo e anima all’unica forza che lo può difendere che è – non incidentalmente – anche il suo oppressore.
Chi si salva è il gruppo, il clan famigliare esteso ad amici e vicini, ovvero chi riesce a creare una realtà parallela, una quotidianità fatta di piccoli strappi e concessioni, scappatoie, reciproci favori che rinsaldano una rete. Si salva e sopravvive solo chi si allea e si associa in gruppi informali, sia pure limitati nel tempo e negli scopi.

L’importanza delle reti informali

Chen nel corso della narrazione cade in disgrazia a causa delle sue indagini, ma riesce a risollevarsi grazie alla rete che si è formato nel frattempo e negli anni: dall’amica giornalista e amore fallito Weng, a Yu e famiglia, incluso il padre pensionato, Vecchio Cacciatore, ancora permeato dell’etica maoista, al Cinese d’Oltremare Lu che ha aperto un nuovo ristorante.
La compagna Guan non aveva alcuna rete: era stata scelta come Lavoratrice Modello della Nazione, una versione cinese del compagno Stachanov, ma aggiornata agli anni Novanta.
Mentre ai suoi tempi Stachanov spalava decine di metri cubi di carbone, stabilendo inarrivabili record di produttività, Guan era la caporeparto cosmetici nel Primo Magazzino di Shanghai.
Tutta compresa nel suo ruolo di Lavoratrice Modello, Guan non dava confidenza a nessuno, né al lavoro né a casa, ed era invidiata o detestata da tutti quelli che la circondavano, come possono esserlo i secchioni primi della classe.
Qiu immagina per la compagna Guan una solitudine impossibile nella vita reale: parliamo di una persona che per anni esiste solo attraverso le fotografie, in cui viene ritratta con i membri più influenti del Partito, a Shanghai come a Pechino, incluso il compagno Deng in uno dei Congressi o altre riunioni ufficiali del Partito.
Il volto e il corpo di Guan sono riversati tutti sull’apparire, mentre la sua vita è vuota e – pare incredibile – con tutta la gloria che le arriva dall’esposizione mediatica, non riesce neppure a ottenere un alloggio per se e vive in un dormitorio da anni.

All’inizio dell’era Deng

I dormitori erano alveari umani dove le famiglie si ammassavano spesso in un’unica stanza, in attesa che lo Stato assegnasse loro una casa. Questi dormitori, spiega Qiu, da soluzione temporanea diventavano per molti il riparo per tutta la vita, con bagni e perfino fornelli a carbone in comune per cucinare sui ballatoi.
E’ una situazione di sovraffollamento e degrado da cui riesce difficile uscire fuori e che solo le riforme di Deng – che pure hanno creato disoccupati – alleviano con la possibilità di inventarsi una qualunque attività pur di sbarcare il lunario.
Le riforme di Deng viste da questa prospettiva sono in realtà permessi a uscire alla luce del sole concessi a quelle attività che prima erano considerate illegali, come la vendita di cibo per strada, il trasporto privato, ristoranti, mescite, negozi privati di qualunque genere, dagli alimentari alle scarpe all’abbigliamento, che in epoca maoista erano proibiti, ma che esistevano come mercato nero.
Ha allora senso la famosa frase di Deng, vera o propagandata: “Arricchitevi!” E’ comunque stridente il diverso trattamento riservato alla compagna Guan e allo stesso Chen.
All’inizio del libro Chen da una festa nel suo nuovo, mini appartamento da single che il partito gli ha assegnato come neo promosso ispettore capo di polizia – per giunta del reparto “casi speciali”, quelli che coinvolgono il partito e il suo buon nome. Lui, che ha fatto solo pochi anni in esilio perché istruito, è poi stato richiamato e promosso alla nuova posizione nella campagna di ringiovanimento dei quadri.
In questo è passato davanti a molte persone, compreso il suo vice più anziano Yu e – in parallelo – alla compagna Guan, sorridente alle riunioni di partito, apparentemente inserita nelle alte sfere, ma sola, irrimediabilmente sola come una suora o una vestale e accampata in un dormitorio. C’entra in questo anche la differenza di genere: Guan è donna e non ha le stesse corsie riservate agli uomini.

Inutili marcatori

Se la storia del delitto della compagna Guan si fosse concentrata su questi contrasti e avesse tralasciato le citazioni poetiche e l’insistenza per il cibo, sarebbe stato un buon romanzo da leggere. Sulle prime, c’è poco da dire, se non che vengono spesso usate per sottolineare pensieri che possono essere espressi normalmente o usate dai protagonisti come metafore per sottintendere un testo che entrambi conoscono.
Disseminate con regolarità lungo tutto il (troppo) lungo romanzo, finiscono per appesantire la storia, non danno nulla di più e appaiono per quello che sono: un inutile sfoggio di erudizione da parte dell’autore e un tentativo da scuola di scrittura deteriore di dare un “marcatore” a un personaggio: Chen per chi scrive le quarte di copertina sarà il detective poeta.
L’insistenza per il cibo è la moda degli ultimi anni. Credo che il primo detective legato ai piaceri della tavola sia stato Pepe Carvalho di Montalban. Dopo di lui sono arrivate le gare di cuochi, gli chef stellati e superstar che pubblicizzano grissini e tutto il contorno di esperti enologi e ricette che hanno invaso la nostra vita quotidiana, portando il cibo e le bevande ad argomento principe, per riempire i vuoti delle nostre vite.
Non c’è quasi capitolo in cui il nostro protagonista non sia seduto a un tavolo a bere tè o mangiare tutto quello che la cucina di Shanghai ha da offrire. A parte il fatto che la maggior parte degli ingredienti sono locali e legati alle stagioni, quindi inarrivabili alle nostre tavole, non vedo quale stimolo possa dare al lettore, se non quello di uno sterile voyeurismo. Cioè siamo seduti a guardare altri che mangiano cose. Ma che senso ha?
E’ un problema che ovviamente travalica il lavoro di Qiu, che così, sempre in ossequio alle tremende scuole di scrittura, fornisce il suo protagonista di un secondo marcatore, cioè il detective poeta e gourmet.

Il mondo visto dall’America

A questo va aggiunta la voce fuori campo e fuori contesto dello stesso Qiu, che di tanto in tanto si prende una pausa e parla in camera, direttamente al pubblico, spiegando come stavano le cose in Cina a quell’epoca.
Mi sembra abbastanza singolare che un qualsiasi editor non abbia frenato o tagliato questa inutile ingerenza dell’autore, mentre l’efficace descrizione del dormitorio di Guan, o il dialogo fra la giornalista Wang e il protagonista, oppure la storia fra Ling e lo stesso Chen possono da soli far respirare l’aria della Cina di allora. Invece l’effetto di tutti questi appesantimenti è che a volte non si sa se si sta leggendo un romanzo o un reportage, se stiamo guardando un documentario con una voce fuori campo che ci descrive la vita degli animali del Serengeti.
E qui arriva l’orrendo sospetto – o conferma – del fondamentale isolamento della cultura americana e anglosassone, che vede il resto del mondo attraverso stereotipi.
Così gli italiani sono quelli del Postino di Neruda, di Mediterraneo, o Nuovo Cinema Paradiso, film di italiani premiati all’estero, oppure per la narrativa,  che dipinge gli italiani come il solito popolo del sole e della musica, su uno sfondo di tavole imbandite, con bicchiere di vino in primo piano su un mare blu cobalto. Per gli altri noi siamo quelli lì, nella nostra versione migliore. Nella peggiore siamo i machiavelli, i mafiosi sempre pronti a fregare e ossessionati dal sesso e dal cazzo.
Sono sicuro che se fossi un cinese mi arrabbierei leggendo un libro come La misteriosa morte della compagna Guan, perché mi sentirei il solito animale allo zoo e il mio pensiero sarebbe: ma noi non siamo questi. Purtroppo Qiu rischia di essere scambiato per il servo negro che vive nella villa dei padroni bianchi. L’unico modo in cui si riscatta è alla conclusione del libro, dove si capisce come funzionano davvero le cose.

Tutto per il partito, niente al di fuori del partito

In un romanzo americano la giustizia vince e l’individuo, trascinato nella situazione peggiore, umiliato, battuto e prossimo alla fine, trova in se i semi della sua resurrezione, ingoia il rospo, si rafforza e riemerge per sconfiggere i cattivi. Nel romanzo di Qiu il protagonista scivola in poco tempo dagli altari allo sterco, che in Cina significano l’espulsione dal partito e la galera a tempo indeterminato, sottoposto all’arbitrio del partito dominato dai cattivi, fino a una condanna a morte che può arrivare in qualsiasi momento.
Ma in una società totalitaria tutto rientra dentro il partito e la salvezza arriverà per l’ispettore Chen attraverso un gioco di equilibri interno al Partito Comunista Cinese. Così la morale di questo libro è quella vera e reale, e cioè: tutto per il partito e niente è al di fuori del partito.
Senza l’appiglio ai piani alti a Pechino – la raccomandazione, diremmo noi – a nulla sarebbero servite le indagini e gli aiuti ricevuti dagli amici e dalla rete orizzontale di Chen. Ed è bravo Qiu a far vedere come la soluzione del caso sia sfilata dalle procedure di polizia, ma diventi un caso emblematico all’interno di una campagna promossa dal partito, quella contro le influenze degeneri della cultura occidentale. All’interno di questa cornice che il partito ha benevolmente tollerato, ci sono stati degli eccessi, delle slabbrature che lo stesso partito ha debitamente corretto.
E’ tutto perfettamente in linea per il dopo Tien An Men, perché non c’è dubbio che la ribellione non sia la reazione a oppressione, ingiustizia e corruzione, ma il frutto avvelenato delle influenze straniere, che nulla hanno a che fare con il vero spirito cinese.
All’interno di questa auto assoluzione, l’assassinio della compagna Guan è un caso simbolico e come tale va punito con severità: colpirne uno per insegnare a cento.
Nel finale, in cui tutto rientra – e in cui anche come italiani ci ritroviamo perché conosciamo bene il paradosso del Gattopardo per cui tutto deve cambiare affinché nulla cambi – all’interno di una logica di sistema, troviamo il riscatto di di Qiu Xiaolong, con il contorno di un po’ di sesso, così gli ingredienti sono completi.