Pasquale Martino - I cittadini del sole
Si stanno per fortuna moltiplicando gli studi sulla storia dimenticata e merito di Pasquale Martino è quello di essere riuscito a far parlare alcune fonti note che accennavano a eventi accaduti in Asia Minore intorno al 100 a.C. dove per un breve periodo una ribellione si era trasformata nel progetto di costruzione di una città o civiltà ideale, Eliopoli, i cui abitanti sarebbero stati chiamati Eliopoliti.
Portare alla luce la storia dimenticata è immergersi nella ricchezza e variabilità degli eventi, troppo spesso ridotti a uso di propaganda e di storia dei vincitori. Proprio dai vincitori, cioè da storici romani o greco-romani, Martino trova gli estratti da cui ricostruire gli eventi, entro la cornice nota di un quadro generale storico e politico e da questo trarre ipotesi plausibili. E’ un lavoro di investigazione che è proprio dello storico, attraverso il quale emerge una versione che prima era nascosta.
Ci scordiamo che la storia romana è anche una storia repubblicana, dove periodicamente le istanze di giustizia sociale e redistribuzione vanno di pari passo – ma non assieme – alle lotte di liberazione degli schiavi. Le lotte emergono da un ceto sociale –quello dei contadini liberi e piccoli e medi proprietari terrieri – che è stato impoverito dall’affermazione del latifondo, che ha concentrato le terre nelle mani di pochi e ha cacciato da quelle stesse terre e dai territori gli antichi proprietari e fittavoli, riempiendo quelle estensioni di masse di schiavi.
L’economia della schiavitù
Fra il secondo e il primo secolo gli schiavi abbondano, sono una merce poco cara e prontamente sostituibile alla loro morte. Questo avviene grazie alle recenti guerre di conquista di Roma, che portano sempre più schiavi come bottino di guerra. Pasquale Martino parla dell’isola di Delo, di fronte all’attuale Mikonos, come del più grande hub di schiavi del mondo antico. A Delo arrivavano gli schiavi dalla Tracia, dalla Siria e dall’Asia Minore e da lì dopo una compravendita ripartivano in catene verso le altre terre del nascente impero. Si parla di decine di migliaia di persone che arrivano e ripartono nel giro di mesi, moltiplicate per anni. Una massa d’urto che il mondo antico non riusciva a reggere, e che aveva mandato in frantumi gli equilibri sociali a fondamento della repubblica.
In quegli anni abbiamo le rivendicazioni e riforme dei Gracchi a Roma, la rivolta degli schiavi in Sicilia, lotte dinastiche in Tracia, Macedonia, Asia Minore (Pergamo, la città protagonista di questa storia) e Siria in cui eredi al trono più o meno legittimi o inventati sobillano la plebe e soprattutto gli schiavi per prendere il potere.
Nessuno di questi movimenti avrà successo, anche se per brevi periodi di tre o quattro anni riescono a resistere e a volte pure sconfiggere le legioni romane, che intervengono per garantire lo status quo, cioè le ragioni e i patrimoni di regnanti e oligarchi latifondisti, ma che approfittano per ridurre a provincie romane stati e città ancora formalmente indipendenti. La guerra di repressione diventa automaticamente spedizione di conquista, che implica la cattura di nuovi schiavi, che alimenteranno un mercato saturo e come conseguenza ingrosseranno le plebi urbane e impoverite dopo essere state cacciate dalle loro terre.
L’appropriazione della terra crea una massa di disperati che diventano schiavi o soldati
Recinzione e appropriazione delle proprietà comuni da parte di oligarchi, espulsione di chi ci vive dentro, impoverimento di questa classe che scivola facilmente verso economie di sussistenza, oppure verso le città e il bivio che si pone è la scelta fra la schiavitù per debiti oppure l’arruolamento volontario nell’esercito romano.
Quest’ultimo rappresenta la via di fuga implicita nella riforma di Caio Mario, che trasforma Roma in una macchina per conquistare sempre più terre. Non è un caso: Mario attinge a quell’esercito di riserva – le masse impoverite – che prima non c’era. In precedenza l’accesso all’esercito avveniva per censo: solo chi poteva pagarsi l’equipaggiamento e le armi poteva arruolarsi, vedendosi garantiti il diritto al saccheggio e al bottino in luogo di qualsiasi pagamento.
Con le riforme dei Gracchi i soldati verranno pagati e Mario, nell’intento di risolvere il problema della penuria di soldati perché Roma e l’Italia sono decimati dalle continue guerre, rende accessibile a tutti quella che diventerà una professione e non più una leva periodica.
Servi e poveri assieme
In questo quadro si inserisce la rivolta degli Eliopoliti, i quali – secondo Martino – costituiscono un unicum nella storia del periodo perché per la prima volta le classi povere, ma libere, si uniscono assieme alle masse di schiavi dei latifondi. Non è un caso che questa rivolta abbia le proprie radici nell’interno e non sulla costa, dove le città più importanti hanno la forza di resistere e allontanare l’esercito di Aristonìco, il pretendente al trono di Pergamo che ha arruolato uomini alla sua causa dove poteva, cioè fra i ceti più poveri e fra gli schiavi.
Martino mette in risalto l’enorme differenza nello status di uomo libero e schiavo: quand’anche lo schiavo si trovasse in una posizione socialmente superiore per censo od occupazione, comunque la condizione di uomo libero era preferibile. La condizione servile, ricordiamolo, consegnava la vita del servo nelle mani del padrone, che poteva disporne a piacimento, su cui aveva diritto di vita e di morte. Anche il più povero dei liberi non soggiaceva a questa condizione di fondo.
L’alleanza degli eliopoliti supera questa fondamentale differenza, in nome di una società che Martino immagina ispirarsi a quella delle vagheggiate Isole Felici. Le Isole Felici si trovano, secondo il racconto e il mito, al largo della penisola araba e sono abitate da un popolo pacifico, dove non esiste schiavitù né proprietà privata. Tutte le cose sono in comune, i figli vengono allevati in comune e i frutti della terra equamente condivisi. I lavori vengono svolti a rotazione da tutta la popolazione, così che a ognuno tocchi un periodo con mansioni da servo.
E’ la narrazione utopica prevalente di quei tempi, a testimonianza che già da allora si poneva il problema della proprietà privata come esproprio del bene comune verso l’interesse del singolo. Le rivolte orientate alla creazione di un nuovo modello di società più giusto e felice ricorrono nella storia, annegate nella narrazione dei vincitori e non sono il frutto dei rivolgimenti sociali degli ultimi tre o quattro secoli.
Perché è finito l’impero romano
La proprietà privata si pone come un problema nel momento in cui il suo uso diventa prevalente e pervasivo sulla vita della comunità. Quando la proprietà cessa di essere un valore d’uso della singola famiglia, ma diventa un fattore di accumulazione di scorte, eccedenze che si traducono in profitti, allora parte un fenomeno nuovo.
La proprietà privata chiude gli orizzonti ai vecchi contadini, ai fittavoli, ai pastori che vedono impedito il passaggio degli armenti. Tutto un mondo con i figli e discendenti scivolano in poco tempo dall’autosufficienza al bisogno, che implica la sopravvivenza o la morte. Nasce una criminalità che prima non c’era, il bisogno di sicurezza nelle strade e quartieri fuori controllo, che si traduce in uno stato sempre più forte e gerarchico, in grado di controllare, reprimere e punire con tempestività.
Nel mondo romano l’osmosi che funzionerà per secoli sarà quella di riversare le masse dei diseredati fra i ranghi dell’esercito, un’organizzazione ipertrofica, che al culmine del suo sviluppo si troverà a dover pagare circa cinquecentomila soldati, dislocati in guarnigioni ai confini dell’impero. L’esercito diventa così una forza permanente anche in tempo di pace, la cui mobilitazione per la guerra drena risorse ancora maggiori. E’ qui che implode l’impero e viene meno quel disegno di indefinita espansione. Viene il momento in cui le spese per il mantenimento di un macchina così grande non possono essere più coperte da una sola classe di latifondisti diffusa su tutto l’impero. Secondo wikipedia, le spese per il mantenimento dell’esercito assorbivano i tre quarti delle ricchezze dalle casse dell’impero.
Aumentano le forme di evasione fiscale, favorite dalla presenza di funzionari facilmente corrompibili, che fanno parte della stessa classe. Per qualche tempo l’impero viene tenuto in vita dalle migrazioni esterne, attirate dal superiore livello di vita delle provincie romane e questo garantisce una massa di riserva in termini di schiavi e soldati, via via che l’impero romano combatte o si accorda con le varie tribù.
L’inizio della fine avverrà quando questo gioco avrà termine, quando l’impero romano si piegherà a versare tributi alle varie tribù per evitare invasioni. Ci vorranno poche generazioni per capire che quei confini si potranno scavalcare e penetrare fino al cuore dell’impero. La fine, fra una scorreria e l’altra, è solo questione di tempo e di ferocia di una tribù rispetto a un’altra.
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