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Paolo Morando - Anni 80. L'inizio della barbarie

In Dancing Days, il suo lavoro precedente, Paolo Morando parte da uno spunto sconosciuto per raccontare il riflusso alla fine degli anni Settanta.
E’ la costruzione di una tesi, non smentita, secondo cui il più grande gruppo editoriale italiano di allora (Rizzoli – Corriere della Sera) decide di tradurre in pratica i risultati di uno studio sulle tendenze della società italiana. Lo fa attraverso una campagna che, abilmente aperta con una polemica sui quotidiani, si allargherà nel disimpegno e in una nuova corsa ai consumi.
Nel sequel di Dancing Days manca uno spunto iniziale ma vengono illustrate le peggiori e qualche volta migliori tendenze del decennio che ha influenzato nel male i successivi sviluppi politici dell’Italia.
Ma possiamo prendere uno spunto iniziale che possa fare da introduzione a questa storia?
Verso la fine del libro Paolo Morando lo fa intravedere nel lontano 1961. In quello stesso anno due tesi di laurea si aggiudicano un prestigioso premio dalla Normale di Pisa, due lavori che hanno entrambi come tema gli sviluppi dell’industria pubblicitaria.
Il premio viene diviso ex aequo fra Giampaolo Fabris e Silvio Berlusconi.

Due tesi sulla pubblicità

Il primo, livornese, sarà uno dei principali sociologi italiani negli anni Ottanta, diventato famoso con il suo modello delle otto Italie, con le quali ha individuato otto diversi tipi di italiani distinti attraverso diversi approcci ai consumi. I membri di questi gruppi negli anni sono aumentati o diminuiti e questo ha segnalato più di altre ricerche le tendenze della società italiana, da cui sarebbero discesi orientamenti politici e stili di vita (anche questa intesa come categoria sociologica nata in quegli anni).
Del secondo non c’è bisogno di aggiungere altro di cui già non si sappia, se non constatare che la presenza della tv commerciale ha cambiato l’approccio degli italiani verso i consumi e le scelte politiche.
La tivù commerciale – così come la diffusione di internet – pone un problema di volume che fa saltare precedenti equilibri. In pratica non cambiano le tecniche di persuasione utilizzate fino a quel momento e che furono elaborate negli Stati Uniti negli anni Cinquanta e Sessanta, così come negli anni Sessanta viene elaborata la critica più radicale ne La società dello spettacolo di Guy Debord.
Di fronte all’abbondanza di informazioni e stimoli che ci provengono dai media la nostra mente è impreparata.

Abbassare il livello di attenzione

Pensiamo all’avvento dei fascismi e alla contemporanea diffusione della radio a livello di massa. Abbiamo un nuovo media dirompente, in grado di portare – in diretta (altra novità sostanziale) – la voce di una sola persona a milioni di persone nello stesso momento. Nessuno – neanche Alessandro Magno o il Re Sole – aveva avuto più potere di un Nicolò Carosio, in grado di far credere in radiocronaca che la nazionale di calcio stesse vincendo quando invece le buscava sonoramente. Pensiamo all’effetto che può avere un media di questo tipo su milioni di persone povere e in gran parte analfabete.
Negli anni Ottanta la pubblicità era quella del Carosello o della radio pubblica e quella in gran parte ignorata della carta stampata. L’arrivo delle radio e tv commerciali e il volume di pubblicità mai visto fino a quel momento investono il consumatore e riescono a diventare potenti distruttori di massa, perché l’utente si protegge come può dall’invasione: con una patina di indifferenza al messaggio, che si riverbera sul livello di attenzione verso qualsiasi messaggio.
L’avvento di radio e tivù private abitua lo spettatore passivo a continue interruzioni, che non hanno fine, perché è nella natura di quei media. Chi era abituato a un prima accoglie a volte il nuovo corso con una certa esasperazione o comunque lo critica, si rende conto della frammentazione e diminuzione dell’attenzione provocate dalla pubblicità martellante e dall’accelerazione del montaggio delle immagini, iniziata negli spot, proseguita dei videoclip e sfociata oggi nei videogiochi.
A ogni passaggio il livello di attenzione si abbassa sempre più e in mezzo passa qualsiasi cosa.
La privazione di attenzione crea un vuoto e quel vuoto viene riempito dal messaggio più potente, che non è quello ragionevole, ma quello meglio finanziato e confezionato, ma soprattutto quello che viene passato con più frequenza.

La vittoria dell’opportunismo

Quando si declinano i grandi valori – la libertà su tutti – troviamo la banalizzazione comune che porta dai principi al perché no, alla retorica del lasciamolo provare.
Il corollario e il messaggio implicito è che siamo in un paese libero e siamo liberi di cambiare idea quando vogliamo, che morto un papa se ne fa un altro, ma non sarà così. In quegli anni avviene una consegna di sovranità e i risultati si vedranno pienamente alle elezioni del 1994, con il trionfo di Forza Italia.
Se l’Italia non è tornata fascista in quegli anni è stato per un residuo di resistenza e di esistenza di forze di mediazione organizzate, sindacati in primis.
Ma negli anni della barbarie prevale la logica dell’opportunismo (che declinato verso il basso diventa flessibilità) il cui unico scopo è quello di restare al potere e proteggere e favorire la stessa classe economica e dirigente di sempre, come aveva capito per primo Federico De Roberto ne I Vicere.
Quindi nulla di nuovo, se non l’effetto moltiplicatore di messaggi che prima erano marginali rispetto alle funzioni principali del servizio pubblico: informare ed educare.
E’ questo credo il fattore che più interessa nel lavoro di Morando, anche se la vera barbarie descritta è la violenza verso il diverso, la nascita dei razzismi, prima verso i meridionali e poi contro gli immigrati.

La vittoria dell’io sul noi

In mezzo sta la percezione di strati crescenti di persone che segnalano in vari modi che non tutte le promesse sono state mantenute. Ci sono larghe fette di territorio e popolazione che arrivano ultimi al banchetto, trovando solo gli avanzi di portate mangiate da altri.
La Lega lombarda, la Liga veneta e l’Union Piemunteis prosperano tutte in zone depresse e per molto tempo vengono considerate fenomeni marginali, che interessano persone che basterà accontentare con il prolungamento della stagione della caccia, o la costruzione di qualche strada o ponte per accorciare la strada verso i centri maggiori.
Ma lo Stato in quegli anni raggiunge i suoi limiti di spesa e il sistema di potere democristiano non riesce più a perpetuarsi come il partito liberaldemocratico giapponese è riuscito a fare – caso unico – fino ai giorni nostri.
Lo iato fra livello di vita e bisogni indotti dal cambio di paradigma culturale conservatore stravolge una società che si pensava matura dopo l’altra rivoluzione, quella dell’industrializzazione di massa degli anni Cinquanta. Ma in cosa consiste questo cambiamento? Nella riscoperta dell’io e la sua prevalenza sul noi. Questo comporta una nuova spinta ai consumi e alla delegittimazione di stili di vita che prima erano accettati e prevalenti.

Consumi individuali

Pensiamo alle vacanze. Negli anni Settanta esistevano ancora le colonie estive, dove i comuni si convenzionavano con località marine o montane per mandare i bambini in estate, tutti insieme. Pensiamo ai dopolavori, che anche loro si convenzionavano con alberghi o pensioni in località di villeggiatura, estate o inverno, in cui i soci potevano soggiornare a prezzi di favore.
A un certo punto, tutto questo sistema viene chiamato massa e il termine diventa negativo. Si afferma il finto concetto di esclusivo, che è proprio dell’agire individuale, di chi si guadagna il merito di accedere a luoghi o persone o può permettersi l’acquisto di oggetti che da soli sono un premio, che non ricompensa il bisogno in sé, quanto la gratificazione di mostrare.
Pensiamo ai raduni pacifici che venivano promossi soprattutto in provincia: le famose marce dell’amicizia, della pace, eccetera: sarà una moda che sparirà quasi senza lasciare traccia alla fine del decennio. Perché anche questo è massa e soprattutto non c’è competizione, non ci sono premi per chi arriva primo.
Gli anni Ottanta, ci illustra Morando nel suo lavoro documentatissimo, rappresentano l’accelerazione di una corsa che era partita un paio di anni prima, nei Dancing Days.
E’ curioso e non è stata data la dovuta importanza all’influenza che hanno avuto la musica e un film come La Febbre del sabato sera, arrivati con tempismo perfetto appena prima che Margareth Thatcher e Ronald Reagan vincessero le elezioni.
Morando mette in relazione due eventi quasi contemporanei come la morte di Demetrio Stratos, assunta come simbolo della fine di un’epoca, e gli striscioni Forza Etna appesi sui cavalcavia delle autostrade venete.

La nascita del razzismo

Dalla pre rivoluzione alla Vandea nel giro di pochi mesi; nell’Italia di quegli anni c’era tutto questo: comunismo avanguardista ed etnoleghismo fascista allo stato nascente.
Solo che uno era un movimento discendente, mentre il secondo aveva trovato orecchie disposte ad ascoltare un messaggio che – fino a quel momento – era rimasto marginale.
Non si spiega il rigurgito antimeridionale in un’Italia in cui la grande ondata migratoria dei Cinquanta e Sessanta era stata assorbita e la seconda generazione era già nata al nord, se non con la deliberata volontà politica di usare un sentimento inespresso, se non in un vociare comune o in mugugni, come un grimaldello per far passare discorsi peggiori.
Ad accompagnare la nascita della Lega saranno infatti i movimenti neonazisti che agivano sotto traccia, da infiltrati per i quali tutto quello che puzzava di comunismo, socialismo, sindacalismo, femminismo erano il nemico che andava affrontato e battuto.
Il messaggio era arrivato bene, nel vuoto scavato dal bombardamento di migliaia di spot.
Erano gli anni del Piano di Rinascita Democratica ideato da Licio Gelli e attuato attraverso la Loggia P2, a cui non a caso Berlusconi era affiliato.
Quindi in ’80 l’inizio della barbarie leggiamo l’assuefazione al peggio che parte dagli slogan in autostrada e termina con la caccia agli immigrati dell’ultimo capitolo. E’ un modo, uno dei tanti con i quali si può tentare di fare i conti con quanto era avvenuto, per descriverne le dinamiche, accertandone volontà e responsabilità.