Nathaniel Hawthorne - La lettera scarlatta
La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne rappresenta la più compiuta costruzione e analisi del senso del peccato agli albori della letteratura americana, che nella narrazione remota della Boston dei primi coloni puritani assume le caratteristiche di un peccato originale.
Possiamo parlare di peccato originale perché Hawthorne lo situa agli inizi della storia di un popolo che approda su una nuova terra, portando con se la religione e la cultura che permeerà lo spirito americano nei secoli successivi.
E’ un senso del peccato che non trova redenzione in terra e la lettera A, fiammeggiante e scarlatta, cucita sulla veste di Hesther Prynne, sarà il sigillo del peccato di adulterio da lei commesso, che la condannerà alla vergogna per il resto dei suoi giorni, in isolamento dal resto della comunità in cui pubblicamente continuerà a essere disprezzata.Ma quella lettera si evolve e si trasforma, diventa qualcosa d’altro e passa, come vedremo, da un personaggio all’altro.
Una A fiammeggiante
E’ particolare come quella stessa lettera sia tutta la libertà di cui Hesther può disporre. Intanto perché lei ne ha scelto la stoffa, ha disegnato il carattere, ne ha progettato le dimensioni, l’ha ricamata con filo d’oro sulla veste che porterà per tutta la vita, come se, invece di un simbolo di vergogna, fosse un omaggio alla bellezza, una sfida a essere guardata.
E quella A risucchia i bostoniani, e magicamente fuoriesce incarnandosi nella figlia Pearl, frutto del peccato, di cui Hesther non vuole confessare l’autore.
Il lettore sospetterà presto chi è il padre di Pearl, così come scopre subito che l’uomo che si fa chiamare Roger Chillingworth è lo sposo legittimo di Hesther, che le aveva promesso di raggiungerla dall’Europa (quindi assente all’epoca dei fatti e creduto morto) e che la pregherà di non rivelare la sua vera identità.
Chillingworth è l’uomo venuto dal nulla. Molto più anziano di lei, il loro era stato un matrimonio senza amore e l’autore non spiega il perché di questa scelta e noi come lettori non ce lo chiediamo; a quei tempi non ci si sposava certo per amore. Hesther quindi non ha difficoltà ad acconsentire a Chillingworth di non rivelare a nessuno che lui è il suo marito legittimo.
Protetto da questo giuramento, Chillingwoth avrà tutto lo spazio per inserirsi nella nuova comunità come medico che ha saputo unire il sapere europeo con quello acquisito dagli Indiani, nel periodo in cui è stato loro prigioniero, cioè prima di apparire a Boston.
Queste esperienze lo qualificano in breve come il miglior medico a disposizione della comunità e lui ne approfitterà per occuparsi della salute di chi gli sta a cuore per altri motivi, cioè del reverendo Dimmersdale.
Hawthorne innamorato di Hether Prynne
Dicevamo del senso del peccato. Quale peccato è più grande: nascondere l’identità del padre di Pearl per proteggerlo, oppure celare l’identità del marito per acconsentire a un suo desiderio?
Questi peccati, agli occhi di noi contemporanei risultano ben più pesanti che aver dato luce a una bambina al di fuori del matrimonio. Anche Hawthorne la pensa così e lo svolgimento della vicenda che lui ci racconta ne è la dimostrazione.
Potrebbe essere un romanzo a tesi, quindi costruito ad arte per arrivare alla dimostrazione e a una morale, se non fosse che la bellezza di questa storia, l’innamoramento che Hawthorne ha avuto per Hesther Prynne trasforma la protagonista in un’eroina capace di sopportare disprezzo e umiliazione e dando in cambio solo opere di bene, come una suora laica, ci dice l’autore.
Hawthorne non condanna l’adulterio, ma ci racconta che ai tempi dei primi coloni quello era un peccato/reato passibile di condanna a morte e la pena era stata compassionevolmente commutata dai giudici nell’obbligo alla vergogna perpetua, perché non era dato sapere o provare che il marito di Hesther Prynne fosse ancora vivo. Hawthorne ci porta empaticamente a stare dalla sua parte, perché lui stesso ne è innamorato.
I veri peccatori
Altri sono i peccatori, e sono tutti uomini. Quelli che giudicano e condannano in nome della morale corrente, ma soprattutto i personaggi attorno a lei: Dimmersdale per l’ipocrisia della religione, per l’attaccamento alla sua posizione sociale, per la paura di perdere i privilegi di studioso, di essere anch’egli espulso dalla società.
Ma questi dilemmi per noi chiari, non lo sono affatto per il pastore, che attraversa le pagine del libro con il rovello del rimorso per il peccato compiuto, dove il peccato è stato l’atto impuro, non il silenzio e l’aver abbandonato Hesther a se stessa.
Poi c’è Chillingworth, il cui cognome – è stato notato da Goffredo Fofi nella sua prefazione all’edizione italiana (Garzanti 1975) – significa “portatore di gelo”, “degno di brividi” e già questo ci introduce alla malvagità dell’uomo di scienza, che coltiva la sua vendetta di marito tradito esercitando la sua malefica influenza proprio sui rimorsi di Dimmersdale.
Chillingworth è una versione del Male assoluto: votato alla sola vendetta e alla soddisfazione di nuocere nel modo più sottile e senza che lo si potrà mai incolpare di nulla.
Il Male assoluto: umano o non umano?
Chissà se Dostoevskj aveva letto La lettera scarlatta; di certo possiamo dire che Chillingworth è un antenato del titanico Stavrogin de I demoni. Ma anche la letteratura anglosassone è ricca di questi personaggi, pensiamo in primis a Jago, che non fa altro che insinuare dubbi nella mente di Otello fino a portarlo alla tragedia finale.
Sono questi i veri cattivi, cioè quelli che spingono a fare il male mentre si astengono dall’agire; hanno in se quella forza spirituale volta in negativo in grado di torcere a loro piacimento la volontà di chi sta loro attorno, di farsi ispiratori senza ordinare espressamente alcunché.
Sono quelli che hanno in testa un disegno superiore, a cui subordinano tutte le azioni che fanno compiere agli altri.
Quanto di più diverso dal coetaneo Moby Dick di Melville, dove il Male è talmente immenso e immisurabile da essere al di fuori dell’umanità. La balena bianca è la forza negativa e maligna della natura, a cui è impossibile ribellarsi. E’ un aspetto che ricorrerà nella letteratura americana, con il mostro Ctulhu di H.P. Lovecraft, fino ad arrivare a It, con Steven King.
Per rappresentare il Male assoluto questi autori devono ricorrere all’altro da se, perché la completa mancanza di morale e di una finalità che non sia la distruzione pura di ogni forma di vita o di pensiero non può appartenere al genere umano.
E poi abbiamo i Chillingworth, gli Stavrogin, gli Jago, tutti uomini votati al male dei propri simili, che riescono nei loro intenti e alla fine vincono e si dissolvono, perché il male è compiuto, il supremo nulla è stato raggiunto.
Pearl la speranza
E poi abbiamo lo spiraglio, abbiamo Pearl, la figlia felice e senza pensieri, la figlia adorata da Hesther, che viene da lei adornata dei vestiti migliori e più belli usciti dalle sue mani. Pearl è selvaggia, curiosa, intelligente e sembra accettare di buon grado la situazione in cui si è trovata: vivono lei e sua madre in una casupola isolata, su un promontorio, lontane da tutta la comunità. A sette anni è curiosa di sapere le sue origini, perché lei non abbia un padre, ma Hesther ritiene non opportuno dirle la verità, preferendo dirle che suo padre è il Creatore, come lo stesso Creatore lo è stato di lei, Hesther.
Ma il suo comportamento descritto come bizzarro, da un lato viene idealizzato dall’autore, per cui descrive i suoi giochi come lo sviluppo di una fantasia sfrenata, ovvero di un’immaginazione creatrice, mentre dall’altro troviamo le preoccupazioni della comunità e dei suoi rappresentanti, che vorrebbe toglierla dalla custodia della madre, ma a questa soluzione si oppone felicemente Dimmersdale, che perora la sua causa con fervore e convince il governatore a lasciare che frequenti la scuola come tutti gli altri bambini.
E’ un passo importante, che attenua il rigore di cui si ritenevano capaci i Padri Fondatori, e con questo atto Hawthorne ci fa comprendere la sua vera natura democratica, per cui i figli devono crescere liberi nella nuova terra, senza portare il fardello delle responsabilità dei padri. Pearl in questo senso potrebbe essere come l’America, figlia bastarda che si lascia alle spalle le regole e restrizioni dei padri, protesa verso la scoperta di un nuovo mondo in cui inventarsi nuove regole di convivenza, basate sull’eguaglianza di fronte a Dio, che si traduce nella giustizia sociale in seno alla comunità.
Una vita nuova in una terra nuova
E’ questo, in fondo, l’anelito che ha spinto i Padri Pellegrini a fondare una nuova colonia, la libertà di inventarsi una società nuova, senza nobili o re a determinare la vita di tutti per diritto di nascita. La figura del bastardo sarà anche lei ricorrente nella letteratura e nelle storie di frontiera: orfani che crescono al di fuori della tutela dei padri, liberi di inventarsi la loro esistenza.
Ma anche personaggi nati da un atto impuro di cui non si vuole rivelare l’origine, riportando tutta la falsa morale che Hawthorne ci mostra come retaggio dell’Europa del tempo. E anche questo è un carattere che si svilupperà in seguito, fino ad arrivare ai personaggi di Disney, dove non esistono più i padri e le madri, ma solo zii e nipoti.
Ma torniamo a Pearl, di cui non ci viene detto altro se non che abbiamo di fronte una bambina libera e in qualche modo selvaggia, su questo Hawthorne ritorna più volte.
Per la sua appartenenza al mondo dell’infanzia, sarà un personaggio senza uno sviluppo, a cui l’autore raramente presta pensieri, cosa che fa con Hesther Prynne e il reverendo Dimmersdale, ma anche con Chillingworth, le cui malvagie intenzioni sono chiare.
Ma anche in questa incompletezza, Pearl rappresenta la via d’uscita, il futuro che nessun altro protagonista potrà avere.
Un monito ai contemporanei e ai posteri
La sfida che Hawthorne si era posto nel mettere mano a La lettera scarlatta era la capacità di descrivere i sentimenti e le passioni di una donna vissuta due secoli prima nella Nuova Inghilterra, colpita da una particolare forma di ostracismo che avrebbe segnato per sempre la sua vita.
A quei tempi, la pubblica vergogna era una pena che aveva un inizio e una fine con l’esposizione alla gogna o al pubblico dileggio girando per le vie della città sotto la scorta dei soldati, con un cartello appeso o con vestiti che potevano ricordare la colpa di sui si era macchiato il reo; la fantasia dei giudici e dei signori era illimitata.
Tutto questo per dire che una punizione come la lettera A rossa cucita al vestito era un tipo di pena che poteva scaturire solo dalla mente dei giudici puritani di due secoli prima ed Hawthorne, che è il discendente di quei coloni, ha ben presente la cultura e l’educazione dei suoi avi.
Ma il riconoscimento implica la distanza dell’osservatore, ed è una distanza che Hawthorne ha acquisito nel periodo in cui ha frequentato le èlite più avanzate e rivoluzionarie della sua epoca. Hawthorne, come racconta nella lunga introduzione La dogana vecchia, era davvero andato a lavorare nella dogana di Salem, ma prima di allora aveva vissuto per un periodo in una sorta di comune artistica e spirituale a Concord, in cui si erano riuniti Ralph Waldo Emerson, Henry Thoreau, Amos Bronson Alcott (il padre di Louise May, autrice di Piccole donne) e altre menti illuminate.
E prima di quella, Hawthorne era stato in contatto, fra gli amici del salotto della famiglia della moglie, con Margaret Fuller, “autrice nel 1845 di una sorta di manifesto femminista del tempo, La donna nel XIX Secolo” (G. Fofi, ibidem).
Non è un caso, perciò, che le ultime parole di Hesther Prynne che Hawthorne riporta in forma indiretta, siano proprio quelle rivolte ad altre donne, venuta da lei in cerca di conforto “negli incessanti affanni delle passioni oltraggiose, sprecate, ferite, malriposte, aberranti o peccaminose…”
A loro Hesther, “assicurava pure della sua ferma convinzione che, in un periodo migliore, quando il mondo sarebbe stato maturo, quando fosse piaciuto al Cielo, sarebbe stata rivelata una nuova verità per ristabilire le relazioni tra uomo e donna su fondamenta più sicure di mutua felicità.”
La morale di Hawthorne è una dichiarazione di fede nel progresso dell’uomo e La lettera scarlatta rappresenta un monito a non ripercorrere quella strada, a non rivivere, nelle sue parole, “una storia tanto cupa”.
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