Margaret Atwood - Il racconto dell'ancella
Nel suo racconto sulla genesi del romanzo Il racconto dell’ancella, Margaret Atwood fa un’affermazione all’apparenza sorprendente, e cioè che
Gilead has utopian idealism flowing through its veins
(in Margaret Atwood on How She Came to Write The Handmaid’s Tale – The Origin Story of an Iconic Novel; VIA THE FOLIO SOCIETY; By Margaret Atwood; April 25, 2018)
L’autrice sceglie bene le sue parole e non parla a caso di utopia invece che di distopia, perché ci sono aspetti nel mondo ideale descritto da Thomas More nel primo Cinquecento che a noi sembrano inaccettabili, come ad esempio la schiavitù, oppure le ferrea regolamentazione della vita sociale, la rigida suddivisione dei mestieri, la quota fissa di abitanti per città e di figli per famiglia, la distribuzione dei figli eccedenti in altre città e famiglie in modo da mantenere un numero ed equilibrio considerato ottimale. Il principio superiore è un’armonia coatta che comunque sottende a un fondo di violenza: ad esempio la guerra, che i figli eccedenti (e che non trovano più posto in altre famiglie o città dell’isola) sono autorizzati a fare ai danni degli abitanti della terraferma che lasciano le terre incolte. Come non vedere in queste idee le radici ideologiche dei coloni che hanno strappato con le armi agli Indiani d’America le praterie non sfruttate?
In questo senso Atwood vede l’idealismo utopiano scorrere nelle vene di Gilead, lo stato totalitario in cui vive June, l’Ancella che racconta in prima persona la sua vita all’interno di un regime post apocalittico, in cui la maggior parte degli uomini e delle donne hanno perso la fertilità riproduttiva e quindi il massimo dei diritti e della ricchezza dei più forti è quello di possedere una donna in grado di dare figli al suo padrone. E’ una condizione di schiavitù sublimata nella religione e nella soffocante non vita che le ancelle sono obbligate a vivere, in attesa dello stupro rituale del Comandante, che avviene una volta al mese.
Margaret Atwood parla di idealismo utopiano in contrapposizione all’affermazione di molti, secondo cui il suo Racconto dell’ancella è una distopia femminista: ma dopo il primo dei due termini, Atwood confuta anche il secondo, perché quello che racconta non è così semplice.
Una società piramidale
In a feminist dystopia pure and simple, all of the men would have greater rights than all of the women. It would be two-layered in structure: top layer men, bottom layer women.
(ibidem)
Gilead è una società piramidale dove ogni strato, dal più alto al più basso, ha la sua posizione. Anche se a parità di livello l’uomo primeggia sulla donna (ad esempio i Comandanti sulle Mogli dei Comandanti), comunque le donne dei ranghi superiori hanno autorità sugli uomini di livello inferiore. E’ una suddivisione fra oppressi e oppressori, soggetti a una ferrea legge di dominio che favorisce i pochi – forti e uomini – a discapito dei molti, uomini e donne obbligati a una morale puritana che determina linguaggio e comportamenti, che introietta paura e senso di colpa, che vieta e punisce nella maniera più atroce.
L’uccisione dei medici che erano stati abortisti prima dell’avvento del regime è una pratica sistematica, in cui viene decisa la sorte di un uomo, la cui colpevolezza è retroattiva e spesso denunciata da ex colleghi per salvare se stessi. Abbiamo tutto l’armamentario psicologico di uno stato totalitario, che isola l’individuo, impedisce la riunione in gruppi, la condivisione delle idee e – per essere proprio sicuri – anche la lettura e diffusione dei libri (proprio come in Fahrenheit 451, uno dei tre romanzi distopici – gli altri sono 1984 e Brave New World – che Atwood ha letto da ragazza e che hanno influenzato sia questo che altri suoi romanzi).
L’ancella si aggrappa al mondo di prima
Il racconto dell’ancella è il racconto di quel mondo orribile interiorizzato dall’Ancella, che vede attorno a se le cose e le persone e confronta, ricorda. Il ricordo e la nostalgia è la sola cosa che la tiene viva, che la trattiene dallo spezzarsi, dal diventare un automa, dalla perdita di ogni umanità.
Il racconto di June, così si chiamava l’io narrante prima che fosse catturata e indottrinata, assomiglia alla vita di Hesther Prynne de La lettera scarlatta, che trascorre la vita con il castigato vestito nero su cui è cucita la A rossa dell’adulterio, l’abito come un segnale di esclusione, la lettera che colpevolizza la sua portatrice, che tuttavia resta nella comunità, resiste al disprezzo e riscatta la sua esistenza con una vita di vedovanza e opere buone. A Hesther Prynne, attraverso la sua abilità nel ricamo, è consentito riscattarsi – pur restando in uno stato di alterità per tutta la vita – con il suo lavoro, mentre a June non è consentito fare nulla, deve mantenersi inattiva perché il suo corpo serve solo a procreare e le rigide regole di Gilead mettono assieme i vari divieti in un’unica morale puritana: l’astinenza da alcool, caffè e tabacco con il riposo e la vita contemplativa che equivale all’attesa. Il solo evento che può strappare June da questa non esistenza è rimanere incinta del Comandante, un vecchio le cui capacità riproduttive sembrano dubbie; cioè June ha interiorizzato il suo compito e il suo ruolo di Ancella, vivendo in uno stato di intorpidimento in cui è stata gettata attraverso regole opprimenti, terrore e quotidiane umiliazioni con il Comandante e la Moglie. La sua vita è all’interno di una bolla, dove i limiti espliciti e non detti arrivano a determinare i comportamenti.
Senza via d’uscita
June si costruisce una corazza, finge che tutto quello che stia succedendo sia un brutto sogno e che i ricordi della vita passata siano la vera vita; è l’unico modo per non suicidarsi in una vita di solitudine. Anche il suicidio viene impedito in ogni maniera: tutta l’architettura e l’arredamento della stanza in cui dorme, con l’assenza del gancio del lampadario per impedire di impiccarsi, la finestra che può aprirsi solo a vasista per impedire di buttarsi di sotto oppure fuggire, con l’assenza di rasoi nel bagno o altri oggetti taglienti o appuntiti (le Ancelle non possono fare la maglia perché hanno già usato i ferri da cucire per procurarsi aborti o uccidersi) serve a impedire l’unico possibile atto di libertà, quello di togliersi la vita. Perché le Ancelle, dispensatrici di vita, devono essere preservate, preziose come reliquie o come specie in estinzione in un’umanità sterile – e come animali in gabbia vengono trattate.
Anche Hesther Prynne, che è una donna della sua epoca, l’America puritana del Seicento, ha interiorizzato la sua colpa, non si ribella. Ma ha due vie d’uscita, l’amore e un continente intero dove rifugiarsi e ricominciare una vita. A Gilead manca l’amore e non c’è un posto dove andare perché c’è una continua guerra: gli Angeli della Luce (l’esercito dotato di nazistoidi uniformi nere) combattono i Ribelli, ma il territorio di Gilead sembra circondato da insidie e pericoli, per cui non c’è un posto dove scappare. Quello che caratterizza i grandi romanzi distopici è che alla fine vince il sistema: così Winston Smith viene portato a morire, ma ama il Grande Fratello. In mezzo, c’è la sola forza di volontà che resiste a dispetto di ogni avversità, insieme all’amore, la passione, che da l’energia per sfidare lo stato di cose presenti, che permette di dare una prospettiva, di costruire progetti.
Ma la distopia di Atwood è così perfetta che anche questo manca nel racconto di June. Parla per sussurri, è terrorizzata dalla vista degli uomini impiccati al Muro, a monito di quello che accade a chi si ribella, tiene lo sguardo basso e non incrocia quelli degli altri perché anche questo è proibito.
Ma anche in questa desolazione l’umanità risorge, a dispetto di tutto. Risorge anche negli oppressori, gli stessi che hanno creato l’angoscia di Gilead e che ne sono schiacciati nonostante i privilegi di cui godono come classe dominante, quella dei Comandanti.
Questo barlume di umanità è tutto ciò che redime e che fa preferire la morte: il suicidio come primo e ultimo atto di libertà, solo questo resta da fare e questo il sistema oppressivo di Gilead cerca di impedire. Questa è una relativa novità e un’atrocità aggiuntiva capace di togliere ogni speranza. Siamo tutti con June, ma non riusciamo neanche noi a immaginare una via d’uscita.
La riscossa dei neopuritani in America
Il racconto dell’ancella è diventato un fenomeno di massa. Dall’uscita del romanzo, nel 1985, la storia di June è stata tradotta in film nel 1990 (protagonista Natasha Rischardson ) e nel 2017, è uscita la prima delle stagioni tv, non a caso durante l’era Trump dove tutti gli elementi della galassia neopuritana sembravano convergere verso la definitiva vittoria. Secondo Marco D’Eramo, in Dominio , è dalla fine degli anni Sessanta e dall’inizio dei Settanta che un gruppo di miliardari conservatori del Midwest (fra cui i fratelli Koch, fra i primi finanziatori del partito repubblicano), finanziano movimenti pro-life attraverso le loro fondazioni, promuovono associazioni neopuritane, orientano l’insegnamento a ogni livello, insediano giudici conservatori e antiabortisti. Nel 1974 a Washington sfilano i ventimila militanti del movimento pro-life; nel 2013 alla stessa manifestazione saranno 650 mila. Alla morte di Ruth Bader Ginsburg, l’ultima giudice progressista (e abortista) della Corte Suprema, Trump in uno degli ultimi e contestati atti del suo mandato ha nominato Amy Coney Barrett, vicina al movimento pro-life, ribaltando a favore dei conservatori la maggioranza dei giudici della corte, con la prospettiva di rendere l’aborto illegale (o di limitarne pesantemente il diritto e l’esercizio) in tutto il territorio degli Stati Uniti.
Sono solo gli ultimi risultati di una lunga marcia delle idee conservatrici, spesso legate a movimenti di ultra destra, alla National Rifle Association, al partito Repubblicano, i cui sviluppi Margaret Atwood non può non aver notato ed elaborato all’inizio degli anni Ottanta, anni in cui il Racconto dell’Ancella fu ideato e scritto.
Le radici culturali americane
E’ la stessa autrice a fornire la chiave di lettura. Durante la stessa intervista citata all’inizio rivela che l’idea di uno stato totalitario a matrice fondamentalista cristiana è il naturale sviluppo di alcune delle radici culturali degli Stati Uniti, se portato all’estremo con la domanda “what if”, domanda alla base di ogni racconto di fantascienza o distopico.
Cosa succederebbe se in America i pastori protestanti fondamentalisti arrivassero al potere dopo anni di influenza attraverso ogni mezzo? Cosa succederebbe se tutti gli Stati Uniti fossero permeati dello spirito delle cittadine di provincia della Bible Belt? Dove finirebbero il cosmopolitismo delle due coste e di alcuni grandi centri come Chicago o New Orleans? Il dibattito negli Stati Uniti dopo l’ultima vittoria democratica e il tentato, forse goffo, colpo di Stato del 6 gennaio che mirava a instaurare un regime fascistoide molto simile alla distopia di Atwood, è quello di riformare radicalmente i criteri della rappresentanza, per troppo tempo distorti a favore di Stati spopolati e dominati dai repubblicani, permeati dal fondamentalismo cristiano.
E’ compito degli scrittori quello di essere veggenti, di cogliere in alcuni aspetti della società del loro presente le possibili evoluzioni negative se questi aspetti prendessero il sopravvento. Così Dick, che immaginava il mondo dominato dalle corporation, dove il Presidente e la Moglie del Presidente non erano altro che simulacri (I simulacri ), così Gibson che in Neuromante all’alba dell’era internet immagina una società dominata da un’unica mente artificiale. Atwood prende una via inaspettata e sorprendente per invitarci alla vigilanza, puntando la nostra attenzione sui movimenti di estrema destra e ultrareligiosi, mentre i suoi predecessori più illustri (ma Neuromante di Gibson, uscito nel 1984, è addirittura antecedente) puntano sulla tecnologia e sul mondo delle corporation che soppiantano il potere degli Stati nazionali e delle organizzazioni internazionali.
Il destino manifesto
Margaret Atwood concentra la sua attenzione su un aspetto che è sempre stato presente nella storia degli Stati Uniti, quello del fondamentalismo religioso cristiano, la cui storia nel corso di tre secoli è periodicamente attraversata da Grandi Risvegli. Secondo Atwood è il passato, ovvero l’invenzione di un certo passato, una costruzione mitica di qualcosa mai avvenuto o esistito, che informa il presente e il futuro, mentre in altri autori sono le tendenze dell’oggi a informare un possibile futuro di oppressione. La differenza è che il presente si può correggere, ma poco o nulla si può fare contro il passato, specialmente quello deformato a uso dell’ideologia dominante, se non dimostrare con studi approfonditi che la verità era un’altra. Ma questa è destinata a venir fuori in un tempo successivo, nel frattempo i danni della propaganda di regime hanno fatto strame di cultura e diffuso ignoranza per decenni. La nostalgia è un riflesso deformato che fa assumere al passato qualità gloriose che non ha mai avuto. Nell’America della torta di mele erano gli schiavi a servire in tavola, l’impero romano formatosi in un processo di secoli non poteva essere formato in vent’anni di fascismo, con la riconquista della Libia e dell’Etiopia con l’uso di gas e massacri indiscriminati. Un certo uso della nostalgia impone falsità al posto della verità storica, a far credere a un ritorno di benevolenza e gentilezza, come ai bei tempi andati e la distopia di Margaret Atwood rivela quello che di tragico si nascondeva dietro l’Utopia originale, di Thomas More. Quello che Thomas More aveva individuato e messo in risalto sono state le caratteristiche dell’espansionismo britannico, la configurazione del destino manifesto che si è riversato nella storia degli Stati Uniti.
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