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Lorenzo Gobbi - Nicodemo a San Pietroburgo

Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui».
Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».Gli disse Nicodemo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?».
Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
Gli replicò Nicodemo: «Come può accadere questo?».
Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro d’Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo.”
Gv. 3,1-21
Questo lungo passaggio tratto dal Vangelo di Giovanni è l’unico in cui si parli di Nicodemo. Descritto come un fariseo, non ci dice nulla di lui, se non che appartiene a una classe sociale elevata e disprezzata da Gesù, non tanto – o forse a causa – per la ricchezza, ma per la loro pretesa di religiosi ortodossi, di giudicare gli altri dall’alto della loro conoscenza delle scritture.

I farisei

Nicodemo  è anche di più di questo: fa parte di una delle più antiche famiglie di Israele, quelle arrivate da Babilonia, che hanno scelto per se le terre migliori, lasciando agli ultimi arrivati aride colline di sassi, assoldando servi ogni mattina per andare a lavorare nei loro campi. E’ una di quelle famiglie che hanno accesso al Sinedrio, ai tempi di Ponzio Pilato la massima autorità locale in una provincia romana riottosa.
Nicodemo è parte dell’elite e – per quello che ne sappiamo noi – potrebbe essere arrivato da Gesù spinto da curiosità personale oppure inviato proprio dal Sinedrio o altri membri dell’allora classe dirigente ebraica per sondare il terreno. Chi era, dunque, quel sedicente profeta? Quale era il suo messaggio e di quale verità era portatore?
L’incontro avviene durante il pellegrinaggio a Gerusalemme in occasione della Pasqua. Gesù ha trent’anni; fra tre, nella stessa occasione, sarà crocifisso. E’ nel culmine dei suoi insegnamenti e predicazioni in giro per il paese, è già noto per vari miracoli, è lui l’uomo del momento e possiamo pensare che sia stata l’opera di Nicodemo dopo quell’incontro a far sì che, tre anni dopo, venga accolto a Gerusalemme da una folla in festa.
Come quell’enorme consenso venga travolto in una sola settimana è cosa nota: l’irruzione di Gesù nel tempio e la caciata dei mercanti, cosa ottimamente spiegata da Emmanuel Carrere ne Il Regno (anche qui), ma questa è un’altra storia.

Nicodemo a San Pietroburgo

Quello che Lorenzo Gobbi analizza è l’analogia fra Nicodemo, il fariseo scettico, giudicante e prevenuto, con Rodion Raskolnikof, il protagonista di Delitto e castigo di Dostoevski nel suo rapporto con Sonja, dove Sonja viene vista come una figura “cristica”, ovvero come di una persona piena di grazia. Quello che a Raskolnikof sfugge perché accecato dalla presunzione della sua analisi è che Sonja (costretta dalla vita a un’esistenza fatta di miseria e umiliazioni perché, a quindici anni, è obbligata a prostituirsi per sfamare la madre e i fratellini, mentre il padre annega nei debiti e nell’alcool) non si toglierà la vita ne si lascerà cadere nell’insensibilità a quanto le succede, fino a precipitare nell’indifferenza, nell’oblio senza alcun riscatto e perciò votata al male. Non lo farà, perché Sonja è piena di grazia e sarà questo, alla fine, che porterà il protagonista alla sua conversione, alla rinascita, che è quella di cui parla Gesù nel suo incontro con Nicodemo.

La grazia

La grazia – secondo Gobbi – è questo, semplicemente: un amore immotivato che accompagna, attende, trasforma restituendo la terra, il cielo, lo spazio, il tempo, la voce, il passato e l’esattezza; è un’intimità che ci raggiunge, ci coinvolge e ci apre. È così che ci riporta a casa, in un mondo che si fa vivibile…”  Ci sono volute ottantaquattro pagine per arrivare a questo; non poteva essere detto prima.  E’ particolare che lo stato di grazia colpisca soprattutto i più sfortunati, chi è afflitto da miserie, infermità o dolori, chi nella vita è caduto e non riesce a rialzarsi, come un premio di consolazione. Al contrario, questo amore immotivato, difficilmente coglie chi vive nell’agio, chi crede di aver raggiunto gli obiettivi che si è dato, di essere a posto con la propria coscienza, di essere marito, moglie, padre o madre esemplari, di occupare il posto che pensa di aver meritato. Questo, forse è quanto vuol dire Gesù con il famoso detto

è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli
(Matteo 19,23-30)

laddove il regno dei cieli non è il paradiso, così come non lo è quel luogo in alto da dove si rinasce in acqua e in Spirito, che abbiamo visto nel discorso di Gesù a Nicodemo. Più che un luogo, lo stato di grazia è quanto si raggiunge – e mai per sempre – quando si agisce mossi da un amore immotivato.
Lo dice bene Sonja a Raskolnikov, dopo che le ha confessato i suoi due omicidi: vai all’incrocio della strada e bacia la terra, poi inginocchiati a nord, sud, est e ovest e urla “io ho ucciso!”.

La salvezza arriva dalla terra

Sarà quest’ammissione davanti al mondo, anche se potrà essere notte e nessuno ascolterà quelle urla, la testimonianza che la salvezza arriva dal basso, dalla terra, che è stata ferita dal sangue di un delitto e che è pronta a farlo suo, caricarlo nel suo ventre e spargere fra i mille canali e radici che la percorrono gli influssi negativi di quelle azioni. La terra è grande, ed è pronta ad accogliere chi sappia riconoscere la propria cattiva condotta; ha, come si dice, le spalle larghe.
In questo senso, conclude Gobbi, dio può esserci come no, perché questo riconoscimento è del tutto umano. Certo è che, secondo lui, questa strada porta a dio, ma non è quello pregato nelle chiese e tradotto in comandamenti e precetti che implicano un giudizio, è una spiritualità che porta a quello stato di amore immotivato che possiamo laicamente tradurre in fratellanza, nel senso di comunione fra l’individuo e l’umanità, e fra gli uomini e il mondo, una comunione frutto di una spinta che, se proprio non vogliamo chiamarla amore, possiamo immaginarla come una fusione di istinto e attrazione, passione e ragione.
Ma, attenzione: questa possibilità è di tutti, non solo di chi ha provato un grande dolore, chi è stato umiliato e offeso, chi ha dovuto patire solo torti, che forse può arrivare solo a capire prima. Altre filosofie chiamano questo stato illuminazione, ma non è per sempre; siamo figli del divenire e dobbiamo spiegare e condividere quanto abbiamo vissuto, con la parola e l’esempio.