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Jonathan Franzen - Crossroads

La capacità della più grande letteratura del nostro secolo e del secolo scorso, come di ogni grande letteratura e di ogni grande autore, è stata quella di rendere universale la cultura di un luogo. Interessa a tutti leggere le traversie di una famiglia che abita in un ricco sobborgo di Chicago all’inizio degli anni Settanta del Novecento – e non è una domanda, ma un’affermazione. E’ un impero che ci ha venduto se stesso come modello, così come a suo tempo gli autori latini rendevano il mondo ellenico/romano universale entro i confini dell’impero stesso, al punto che un cittadino di Tarragona poteva condurre pressappoco la stessa esistenza, con gli stessi problemi, di uno di Antiochia, di Lutetia o di Mediolanum perché la vita era regolata dalle stesse leggi, l’educazione era insegnata sui medesimi testi.
Così per un italiano o europeo o giapponese leggere delle vite di giovani di cinquant’anni fa, cittadini di uno stato che ha accolto i perseguitati religiosi del vecchio continente, il cui credo nel nuovo mondo è diventato egemone, potrebbe essere quanto di più straniante – e invece per un lettore europeo è normale immergersi nelle atmosfere del Midwest americano, il cuore degli Stati Uniti, l’essenza dell’americanità, dalla torta di mele al razzismo ai diritti civili e – in questo caso – al fervore religioso. Il Midwest e Chicago sono in statistica il centro, come e più della nostra casalinga di Voghera diventata metafora di medietà.

In Italia un romanzo così non poteva essere scritto

In questo centro del centro noi ci troviamo a nostro agio. Non abbiamo il senso della giustizia e del peccato che hanno i membri della famiglia Hildebrandt, così bravi ad autoanalizzarsi e trovare giustificazioni alle proprie azioni o ai pensieri impuri, ma pensiamoci bene: qual è in Italia una realtà simile alla famiglia di un pastore protestante (mennonita, oltretutto, cioè discendente dalla deriva più radicale delle lotte religiose in Europa nel Cinquecento, quella anabattista, invisa tanto ai cattolici quanto ai protestanti, per le sue radici egualitarie), cioè di un prete sposato e con prole? Nel nostro paese non abbiamo un corrispettivo alla vita religiosa degli Stati Uniti; a parte forse le comunità cristiane di base nei primi anni Settanta in Italia, il più delle volte invise alla Chiesa ufficiale, a cui cercava di porre termine con la sospensione o scomunica del parroco. Cioè dobbiamo partire dal fatto che quelle che nel nostro paese erano state esperienze isolate e particolari, anche radicali, negli Stati Uniti sono la cultura in cui è immersa gran parte della popolazione, che ha un senso del sacro e una più genuina aderenza alla fede rispetto al nostro approccio tollerante perché alla fine “Dio perdona tutti.”
La vera differenza è questa: negli Stati Uniti del 1971 e nella comunità della First Reformed Church di New Prospect il perdono arriva soltanto dall’empatia fra le persone e dall’umiliazione di chi sente di dover essere perdonato, ma il raggiungimento di questa intesa non è un percorso facile e istituzionalizzato, come lo è nel cattolicesimo, che ha formalizzato i confessionali e un intermediario abbastanza sicuro che i peccati confessati vengano tenuti segreti. Il meccanismo, per un cattolico, è semplice: va in confessionale, si inginocchia e dice al sacerdote invisibile oltre la grata: “Padre, ho peccato…”
L’assoluzione che si riceve sempre e l’eventuale – simbolica – penitenza, cancella il peccato e con quello il senso di colpa. Sono automatismi che hanno eliminato lo scavo interiore alla ricerca della propria bontà, o del giusto spirito con cui affrontare l’esistenza: essere leali, fare del bene, amare ed essere riamati.
Se negli Stati Uniti funzionasse così come da noi: messa – confessionale – assoluzione – penitenza – comunione, in un susseguirsi meccanico di riti che risolvono la gran parte delle crisi di coscienza in poco tempo e senza nessun coinvolgimento emotivo, un romanzo come Crossroads non sarebbe mai stato scritto.

Una famiglia nella cesura della storia

I protagonisti di Crossroads sono Russ, il padre, pastore aggiunto della First Reformed Church, Marion, la madre, e i primi tre figli Clem, Becky e Perry (mentre l’ultimo, Judson, è solo un bambino ed è fuori da tutte le dinamiche) le cui esistenze si dipanano in una sorprendente e densa unità di luogo – New Prospect, Chicago nord (la parte bianca e benestante), Midwest, Stati Uniti – di tempo – il 23 e 24 dicembre 1971 per gran parte del libro, e la Pasqua del 1972 – e di tempo storico – la guerra del Vietnam che si sta concludendo, l’era hippie esplosa qualche anno prima come controcultura a San Francisco e diventata mainstream quando raggiunge il Midwest, con tutto il contorno di consumi di droga, dipendenze dei figli e chiusure e paure dei genitori e infine liberazione sessuale e nascita del femminismo. Il libro si chiude all’epoca dello scandalo Watergate. I due eventi, la fine della guerra in Vietnam e lo scandalo Watergate sono un momento di cesura della storia americana: il vecchio muore e il nuovo ancora non si vede.
I tempi stanno cambiando e la posizione più difficile è quella occupata dalle ex-avanguardie. Russ, che aveva marciato a fianco di Stokely Carmichael (uno dei fondatori dei Black Panthers Party) è convinto di avere da sempre ragione e storia dalla propria parte e saranno invece i più giovani che lo scavalcano e tradiscono in varie forme.
Marion la moglie riesce a confessare alla psicologa il suo passato, che aveva sempre tenuto nascosto a Russ, facendo esplodere una vita fino ad allora dedicata all’annientamento di se.
Clem fa la mossa più inspiegabile: lascia la fidanzata di cui è innamorato, esce dal college per cercare di andare in Vietnam: un po’ per punire il pacifismo del padre, un po’ per dimostrare di essere moralmente degno, cioè allo stesso livello di quei ragazzi provenienti dalle classi povere e meno istruite che non potevano permettersi di studiare e il conseguente rinvio di leva.
Becky, che come Clem è atea (ma la sua posizione come quella di Clem è tollerata in famiglia), ha un’illuminazione religiosa e contemporaneamente si fidanza con Tanner Evans, cantante trascinatore di Crossroads, il gruppo di ragazzi della First Reformed Church da cui Russ è stato allontanato tre anni prima. Inoltre si avvicina a sesso, droga e rock and roll.
Perry è il genio precoce della famiglia, ma è quello più simile a Marion: lui ha un buco nero, un cratere (come lo descrive Franzen) con cui deve fare i conti: depressione, anaffettività, senso di colpa. Marion lo sa, ed è il figlio che ama di più, perché sa da cosa deve proteggerlo, ma Perry – genio precoce a scuola – è già spacciatore oltre che consumatore di marijuana e pastiglie di qua’alude.

Il metodo di Franzen

In quell’Avvento di Natale del 1971, la famiglia Hildebrandt esplode in mille pezzi, ma non si scioglie: continuano tutti a vivere sotto lo stesso tetto, ognuno con le proprie ferite da leccarsi o infliggere agli altri membri della famiglia.
Il metodo di Franzen è quello di dedicarsi a ognuno di loro, come se ogni capitolo fosse una storia a parte, completamente focalizzata su un personaggio di cui conosciamo il passato; in questo senso le storie di Marion e di Russ appaiono come due libri distinti all’interno di Crossroads.
Ma questo non ci dice nulla di quello che è il metodo di Franzen. In un saggio dello stesso Franzen, citato nella recensione a Crossroads di Maggie Doherty sul New Republic dell’8 ottobre 2021  leggiamo che lo scopo della sua opera è di “incarnare il mistero attraverso le “manners”, cioè le maniere, le abitudini – buone o cattive – attraverso i fatti della vita quotidiana. Franzen tiene poi a spiegare i significati di quelle parole ed è interessante quello che intende per “mistero”, ovvero come “gli uomini evitano o affrontano il significato dell’esistenza”, mentre le “manners” sono “i dadi e i bulloni del comportamento umano”.
In questa definizione troviamo tutto: ovvero il modo in cui lo svolgersi della quotidianità entra in relazione con le pulsioni e i desideri e come questi debbano adattarsi o reagire alle circostanze e come questa reciprocità arrivi a modificare gli eventi e a crearne di nuovi o a trasformarli secondo una visione inedita.
Raggiungere questo risultato significa immergersi nella vita dei personaggi e osservare – trascrivere – le loro reazioni, parole, gesti, sentimenti, reazioni fisiche: il rossore, la rabbia, il senso di vuoto, i momenti in cui manca il respiro, la paranoia. Sono tutti dadi e bulloni della quotidianità che vengono avvitati mentre la storia si struttura e magicamente si forma un intreccio, dove gli incontri e scontri fra i diversi protagonisti portano al collasso la famiglia tradizionale.

Ogni famiglia è infelice a modo suo

I conflitti esplodono tutti insieme, negli Hildebrandt, in quel fatidico Avvento del 1971, ma non è – in fondo – un fatto eccezionale. Ogni famiglia, in ogni generazione ha vissuto qualcosa di simile, “a modo suo”, come dice Tolstoj. La famiglia di Marion unendo un padre distante (morto suicida in seguito al crollo di fortune dopo la crisi del 1929) e una madre anaffettiva dedicata soltanto al proprio benessere e a frequentare il circolo di ricche amiche dell’adolescenza, ha generato Marion, perennemente in colpa senza motivo per la morte del padre.
A sua volta Russ si staccherà dalla sua famiglia e dalle rigidità della morale mennonita proprio per sposare Marion, del cui passato non sa nulla e nient’altro saprà perché lei ha sigillato il tempo precedente al fidanzamento con Russ confessandogli solo di essere stata sposata (mentre sappiamo da prima che c’è ben altro). E’ proprio il divorzio dal precedente matrimonio il fatto che rende impossibile qualsiasi contatto fra i genitori di Russ e Frances, cosa che obbliga la famiglia di origine di Russ a ripudiarlo come figlio e a non volerlo più vedere. A dispetto dell’origine libertaria, la fede anabattista di una piccola comunità autosufficiente nel nuovo mondo ha eretto barriere rigide e insensate che non trovano spazio per alcun compromesso, perché per loro un accordo in cui ciascuna delle parti rinuncia a qualcosa, sembrerebbe un cedimento alla menzogna rispetto alla specchiata esistenza nella verità. Ovviamente Russ sa che la sua famiglia avrebbe reagito con il massimo rigore, ma l’amore per Marion lo porta a sposarla senza esitare.
Ambedue religiosi, troveranno spazio in una parrocchia in Indiana e successivamente a New Prospect, ma per Russ quella rinuncia a tutto il suo passato all’improvviso diventerà un peso e sarà uno dei motivi del suo rancore inespresso per la moglie e la giustificazione a corteggiare Frances Cottrell.

Padri e figli

Crossroads presenta molte analogie con Pastorale americana di Philip Roth. In entrambi i romanzi il fuoco è sulla relazione fra genitori e figli e l’ambientazione è l’America dei primi anni Settanta. In entrambi i casi viene descritta la storia di una famiglia che va a pezzi; in entrambi i casi la religione portata agli estremi dell’ortodossia porta alla disintegrazione delle relazioni. Pensiamo ai genitori di Russ che lo ripudiano per aver sposato una donna divorziata; pensiamo alla misera esistenza di Merry, la figlia dello Svedese protagonista del romanzo di Roth, quando diventa jainista osservante.
In tutti e due i romanzi gli autori sono agganciati alla storia del momento: nel caso di Roth troviamo Merry che entra nei Weathermen, mentre il romanzo si chiude con le udienze del caso Watergate (come pure in Crossroads); in Franzen la guerra in Vietnam è uno sfondo costante e avrà un’influenza nelle scelte di Clem e nei suoi rapporti con i suoi genitori, così come i comportamenti sono i riflessi e le reazioni a una società in trasformazione: arrivano vecchie e nuove droghe in quantità tali da soddisfare un mercato di consumatori, mentre un piccolo movimento controculturale di qualche anno prima è diventato egemone: la musica e i modi di vestire sono cambiati, il pacifismo è un tratto di identificazione forte dei primi anni Settanta.
Ma il vero elemento comune dei due romanzi è il ruolo di Russ e di Seymour Levov lo Svedese: appartengono entrambi alla generazione degli adulti e sono buoni, onesti, leali, generosi; incarnano cioè tutte le migliori virtù e vorrebbero trasmettere tutto questo ai loro discendenti, per riflesso o per educazione, ma la cosa non gli riesce.
Attenzione: Russ e lo Svedese sono dalla parte dei buoni – è vero – ma sono adulti e andranno incontro a delusioni ancora più cocenti nello scontro con le giovani generazioni, perché non arriveranno a capire le loro ragioni e perché sia Roth che Frenzen mettono i figli dalla parte del torto.
Pensiamo a un prodotto della cultura di quegli anni, come Il laureato: uscito nelle sale nel 1967, racconta una storia di conflitto genitori-figli dal punto di vista dei figli, pronti a spiccare il volo mentre i genitori vogliono decidere per loro. Nel conflitto che ne esce, i genitori sono l’autorità e i figli i ribelli; il figlio deve “uccidere il padre” metaforicamente per trovare la sua strada.
Nelle storie di Roth e Franzen i padri hanno già imparato la lezione e sono disposti a farsi uccidere, ma pare che questo non basti; il senso ultimo di questi due romanzi meravigliosi sta tutto in questa domanda che non ha una risposta.