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John Steinbeck - La valle dell'Eden

Il romanzo fiume di John Steinbeck La valle dell’Eden pone al lettore italiano un problema a partire dal titolo. Lo si scopre subito, non appena il lettore capisce che l’ originale East of Eden, indica un passaggio preciso della Bibbia, che riguarda la cacciata di Caino dal Paradiso Terrestre (l’Eden) e cioè che dopo l’uccisione del fratello Abele, Caino fu allontanato da Dio e andò a stabilirsi in una terra “a est dell’Eden”. Quindi non siamo più nel paradiso terrestre, come vuol suggerire il titolo, ma un po’ spostati, di fianco e comunque fuori.
Le implicazioni simboliche di un titolo del genere sono evidenti al lettore anglosassone fin dall’inizio (anche in virtù forse di una maggior conoscenza del testo biblico), mentre il titolo italiano porta a pensare all’opposto e cioè che i fatti che andremo a leggere si svolgono in una valle dell’Eden identificata nella Salinas Valley del centro della California e non in una terra diversa dall’Eden, in cui gli uomini sono mortali e il male si è annidato nelle loro vite.
Non è l’anticamera del Paradiso, quella che Steinbeck va a raccontare, ma i fatti che hanno portato l’umanità a vivere la vita attuale, e lo fa filtrando il racconto biblico attraverso le vite dei personaggi del libro.

La trasmissione della stessa tara ereditaria

Centrale è la vicenda della famiglia Trask, raccontata attraverso le vicende del padre Cyrus, dei due figli Adam e Charles e dei figli di Adam, Caleb e Aron. Le due figure di Cyrus e Charles, pur non protagoniste, sono fuori fuoco rispetto alla vicenda biblica. E’ difficile associare a una figura divina e creatrice uno come Cyrus Trask, millantatore, impostore e ladro, mentre la figura di Charles, violento e anaffettivo, non può riferirsi a nessuno, perché l’Adamo biblico non aveva fratelli. Tuttavia Charles è il portatore del cattivo seme di violenza e odio, di ignoranza e rancore per l’inutile affetto, non ricambiato, verso il padre. E’ quindi funzionale alla storia perché è il filo conduttore del male originale, originato dal vecchio Cyrus, che si trasmette per via indiretta fino ai figli di Adam, Cal e Aron.
E’ stato scritto in ogni critica che le iniziali di questi ultimi sono le stesse di Caino e Abele e questo porta il lettore originale a identificare in questi due personaggi i corrispettivi della Genesi. Poi c’è il male assoluto, Cathy Ames, anche lei completamente anaffettiva e sociopatica, che dopo varie vicende (fra cui l’uccisione di entrambi i genitori nell’incendio della loro casa) sposa Adam e da alla luce i gemelli Cal e Aron.

Il male assoluto

La ricerca del male assoluto ha attraversato diverse epoche del romanzo americano. In Melville il Male è qualcosa di esterno all’uomo, si annida nella natura, nelle profondità degli oceani: è la balena bianca, un’anomalia nell’ordine del creato che ha dello spaventoso. In It di Stephen King è qualcosa di antecedente alla creazione o all’evoluzione, qualcosa che c’è sempre stato ma che, misteriosamente, non è eterno perché i protagonisti riescono a uccidere.
Per Steinbeck il male è nel genere umano, ma proprio in una donna raggiunge le vette assolute. Nella visione di Steinbeck la donna ha un ruolo marginale e da comprimario; appendice degli uomini, nell’America rurale di fine Ottocento al massimo può aspirare a diventare maestra di scuola. Solo Cathy Ames esce dal mucchio.
Dobbiamo parlare di una misoginia dell’autore? Dobbiamo mettere in relazione questa scelta con la mentalità dell’epoca, oppure con la volontà di stupire il lettore, di dare il ruolo del villain a una donna fragile, con mani di bambina, come ce la descrive lui.
Eppure, a pensarci bene, è proprio Cathy e solo lei, che riesce a smuovere qualcosa, a fare innamorare Adam e a dare un senso alla sua vita, che non aveva avuto fino a quel momento.
Lo fa suo malgrado e accetta la proposta di matrimonio per puro calcolo e opportunismo. Ma tutto questo non spegne la passione di Adam, che per lei è pronto a tutto: rompe con il fratello e se ne va lontano, dalla costa Est alla California, fino ad approdare nella valle del Salinas.
Compra la miglior terra della valle e si stabilisce nella tenuta, dove nasceranno i gemelli Cal e Aron, nonostante il tentativo di Cathy di interrompere la gravidanza procurandosi un aborto.
Perché Cathy non vuole sposarsi, non ama nessuno e non vuole aver figli. La mancanza di affetto genera mostri, o comunque esseri umani incompleti.

Il bene a est dell’Eden

Quanta differenza con la famiglia perfetta, gli Hamilton, immigrati irlandesi e poveri spiantati, ma tutti cresciuti sotto il segno della virtù, guidati con amorevole e benevola attenzione dal patriarca Sam, uomo tuttofare e riverita figura di riferimento della valle.
Sam assomma tutte le virtù: è una persona allegra, piacevole, grande raccontatore di storie; abile in tutti i lavori, si è costruito la casa da solo dove ha generato nove figli, tutti cresciuti nella rettitudine e nel timor di Dio, come si diceva una volta.
La famiglia Hamilton è la parte materna della famiglia Steinbeck e la sua presenza funziona solo come contraltare alla storia dei Trask, quasi a dire: guardate che non sono tutti così, ci sono anche i buoni. Però la storia biblica viene costruita attraverso i Trask: l’Est dell’Eden è abitato da loro, perché anche se a est, per vicinanza non può essere un luogo cattivo.
E allora perché ai buoni, cioè gli Hamilton, arrivati poveri e rimasti poveri è toccata la parte più brulla e arida della terra a est dell’Eden, mentre ai meno buoni, che ospitano il male nei loro geni, toccano invece le terre migliori?
Non ci sarà nemmeno conflitto fra le due famiglie, le loro storie proseguono in parallelo e per gli Hamilton la vita sembra un lungo fiume tranquillo, anche se non mancano le disgrazie, come le morti premature di Una e di Dessie e il suicidio di Tom, che però restano episodi isolati, non diventano mai il centro della narrazione.
Diversamente sono centrali nel racconto le tragedie e cattiverie dei Trask, fino alla rivelazione della verità finale da parte di Cal che – seppur in modi diversi – mette fine alle vite di padre e fratello.

Alla fine i cattivi hanno ragione?

Cosa ci vuole dire Steinbeck con questo? Viene in mente la famosa frase di Orson Welles:

In Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù

In realtà la storia esalta le virtù del singolo. E’ Cal, il sensibile e il tormentato, che rinfacciando la verità sulla madre al fratello Aron lo condanna a morire nelle trincee della Prima Guerra Mondiale e la notizia della morte del figlio demolisce la salute e la tempra già malferma di Adam fino alla sua morte.
Cal agisce per ripicca e vendetta, dopo essere stato ferito dal padre e messo volutamente in ombra dal fratello, geloso della sua impresa, perché Cal si butta nella speculazione sui fagioli con un chiaro intento di redenzione, agisce per il bene della famiglia, non vuole che suo padre scivoli nel disonore dell’insolvenza e del pubblico disprezzo.
Se questo è Caino, allora chi è Aron/Abele? E’ un ignavo, quantomeno come il padre. Ma se Caino è quello che si preoccupa allora Steinbeck ha operato una trasvalutazione dei valori, per cui Caino, agendo apparentemente male sotto il profilo strettamente morale (è uno speculatore e perciò inviso a Dio, perché non produce nulla con le sue mani, ma cava il denaro da una scommessa – oggi si chiamerebbe rischio d’impresa), in realtà è orientato al bene.
Solo che questo non viene capito. Solo a lui è dato sapere la verità per bocca della madre ritrovata e questo perché è curioso, miglior segnale di intelligenza umana.
Caleb cerca, è tormentato, vuole capire. Ha un percorso fatto di dolore e depressione, da cui esce a fatica e in questo non si scorda di andare in soccorso alla famiglia. Quello che è centrale nel racconto è la sua riuscita speculazione, con i cui proventi riesce a ripagare i debiti di suo padre.

Il mito del figliol prodigo

Nell’impresa di Cal ci sono gli ingredienti di quanto enunciato in una digressione precedente che è una dichiarazione di intenti artistica:

La nostra specie è la sola specie creativa e ha un solo strumento creativo, la mente e lo spirito individuale dell’uomo. Niente è mai stato creato da due uomini. Non ci sono buone collaborazioni sia nella musica che nell’arte, nella poesia, nella matematica o in filosofia. Una volta che il miracolo della creazione è partito, il gruppo ci può lavorare sopra ed estendere l’idea, ma il gruppo non inventa mai nulla. La cosa più preziosa è la sola mente dell’individuo. (mia traduzione)

L’impresa di Cal è lo sforzo del singolo, dell’imprenditore che ha l’idea, ci scommette su rischiando e alla fine ha ragione e vince. Tutto questo il lettore lo approva e Steinbeck fa in modo che sia così. Ma sarà proprio il padre Adam a disconoscere la riuscita di Cal: quello che ha fatto è riprovevole perché frutto di una speculazione. Qui siamo di fronte a un’altra metafora biblica, quella del figliol prodigo, quella che genera la contraddizione finale che chiude Il Regno di Emmanuel Carrère. Il figliol prodigo torna a casa dopo aver dissipato la sua parte di eredità in vizi, mentre l’altro fratello, il maggiore, a cui è toccata la parte peggiore delle terre, ha sempre lavorato duro senza mai ricevere un complimento dal padre. Al ritorno, il padre fa ammazzare per il figliol prodigo il vitello grasso e ordina di far festa con i cibi migliori. A quel punto si fa avanti il fratello maggiore, che chiede: ma come, a lui, che ha dilapidato la sua eredità e torna perché non ha più un posto dove andare, per lui che per anni non si è fatto sentire tu uccidi il vitello grasso e a me, che sono sempre stato qui a lavorare ed accrescere la ricchezza della famiglia, neanche un capretto da mangiare con i miei amici? E il padre lo caccia a male parole, disprezzandolo per la sua avidità.

Le ragioni del fratello maggiore virtuoso 

La stessa scena si ripete, con Cal nella parte del fratello buono e lungimirante, dedito all’affetto e alla famiglia, mentre chi viene premiato è l’altro, che non ha fatto nulla, è semplicemente più bello e attira più attenzioni; ispira sentimenti di protezione perché dei due è il più fragile. Cal nemmeno protesta per la diversità di trattamento e si rinchiude nella sua rabbia fino a compiere il gesto che causerà la rovina della famiglia Trask.
Se solo il padre lo avesse compreso, gli avesse parlato intuendo la sua umiliazione, immedesimandosi e parlando con lui avrebbe trovato una mediazione, ma questo gesto non è nelle corde di Adam.
Ci sono mille tematiche che si intrecciano in una vicenda come questa, non ultima l’ingratitudine e il disprezzo di chi è stato aiutato, che per orgoglio non vuole ammettere i meriti del suo salvatore e piegarsi a ringraziare. Oppure, nel caso di un padre, la paura di fare un torto all’altro fratello, quello da lui sempre beneficiato di affetti e aspettative.
Di certo questa scena ingigantisce la stessa vissuta nel passato fra Adam, Charles e loro padre Cyrus, laddove Cyrus rifiuta il regalo di compleanno di Charles, mentre lui aveva fatto uno sforzo, risparmiando mesi per comprarlo. E’ quel piccolo episodio, che avrà influenza per tutta la vita dei due fratelli, che si genera la valanga a valle, fra i due figli di Adam.
Adam è sempre cieco: nel primo caso come beneficiato dall’amore del padre di cui non si accorge e nel secondo come salvato dal disonore grazie all’azione del figlio.

La cecità dei sentimenti

Quella della cecità di Adam è poi un altro tema, perché in una trasvalutazione dei valori lui vede la luce per la prima volta quando si innamora di Cathy Ames, che Steinbeck ci descrive come la personificazione del male. Quella che vive Adam è una sorta di redenzione o, in termini buddistici, di illuminazione: all’improvviso la presenza di Cathy da senso alla sua vita, al punto che decide di metterla su un altare e di adorarla, senza chiederle se è d’accordo.
Nella sua cecità non si accorge di venire usato da Cathy, nell’intento di scappare dal suo passato. Adam, ci fa capire Steinbeck, non si accorge di quello che gli accade intorno; non capisce i sentimenti delle persone; è anche lui anaffettivo perché non ha avuto nulla dalla sua matrigna, mentre suo padre Cyrus, che pure gli voleva bene, non ha mai dimostrato alcuno slancio verso di lui. Anzi, ha riservato a lui la sorte peggiore, facendolo arruolare nell’esercito contro la sua volontà.
Questa catena di incomprensioni, carenza di affetti, stupidità e violenza genera mostri e disastri. Sono questi i semi dell’America, ci vuole dire Steinbeck, queste incomprensioni fra generazioni che sono state esportate con l’aiuto di una robusta ideologia, che esalta l’uomo che si fa da sé e nella sua realizzazione deve uccidere il padre perché, come Crono, potrebbe mangiare i suoi figli.
Non c’è rifugio se non in se stessi e dentro se stessi bisogna trovare la forza e le risorse per crescere e migliorare, per sollevarsi da difficoltà, malattie e debolezze. Se vogliamo, è lo stesso tema di Gioventù bruciata ed è stato bravo James Dean a dare al personaggio di Cal Trask la stessa inadeguatezza e tormento di Jim Stark, il protagonista di Gioventù bruciata (fra l’altro – coincidenza da dietrologi – i cognomi sono l’uno l’anagramma dell’altro).

Il primato dell’individuo

In una critica online (eli.thegreenplace.net), dopo aver citato il passo riguardo al primato della creatività individuale di cui sopra, ci si chiede chi influenzi chi: se John Steinbeck verso Ayn Rand o viceversa. Considerando la contemporaneità dello scrittore con la filosofa e il fatto che il primo romanzo di successo della Rand è stato The Fountainhead del 1943, in cui per la prima volta vengono enunciate le sue teorie sull’individuo come Primo Motore (alla maniera aristotelica, ma proiettato ovviamente su un piano terreno e materiale) della vita e della società, può benissimo darsi che Steinbeck fosse a conoscenza delle sue teorie, anche se il romanzo in cui queste trovano la sua forma più compiuta è La rivolta di Atlante, uscito nel 1957 (mentre La valle dell’Eden è del 1952).
Secondo la voce inglese su Steinbeck pubblicata su Wikipedia, di fronte a un suo posizionamento sul fronte progressista e comunista perché negli anni Trenta aveva fatto parte dell’Unione degli Scrittori Americani, organizzazione vicina o collaterale al partito comunista americano e nonostante per tutta la vita fosse stato considerato un intellettuale progressista e schierato dalla parte dei poveri e dei lavoratori, risalta la sua richiesta nel 1952, in piena guerra fredda, di collaborare con la CIA in occasione di un suo viaggio in Europa, richiesta che l’allora direttore Bedell Smith accolse positivamente (documenti desecretati nel 2012).
Da questo episodio, i cui sviluppi sono ignoti, così come la sua posizione come firmatario di un documento in appoggio all’invasione sovietica della Finlandia del 1939 emerge il ritratto di un uomo che aderisce in modi diversi allo spirito dell’epoca in cui vive. Opportunismo? Doppio gioco?
Oppure un senso di ossequio all’autorità e all’organizzazione, e cioè esattamente l’opposto di quanto dichiarato nel romanzo?
Quale parte avrà avuto quando aveva difeso pubblicamente Arthur Miller, quando era comparso a deporre davanti alla Commissione per le Attività Antiamericane di Mc Carthy?
Aveva nobilmente preso le parti di un amico oppure lo aveva fatto nella presunzione di impunità, anche perché sapeva che la Commissione non avrebbe indagato su di lui (nonostante la sua evidente appartenenza o vicinanza al partito comunista americano)?

La storia di Kate

Sono ombre e dubbi da complottisti e la verità non si saprà mai, ma quella dichiarazione di intenti inserita ne La valle dell’Eden e senza alcuna connessione con il resto della narrazione cambia il verso dell’interpretazione e va nella direzione delle idee politiche di Ayn Rand, quasi ricalcando le sue parole. Questa la definizione in nuce della sua filosofia, riportata in appendice a La rivolta di Atlante:

La mia filosofia, essenzialmente, è il concetto dell’individuo come essere eroico, con la sua felicità individuale come scopo morale della vita, il successo produttivo quale sua più nobile attività, la ragione elevata a proprio unico assoluto

Quello che a prima vista può sfuggire in questa filosofia, chiamata oggettivismo, è l’intrinseca amoralità, perché considerando il bene dell’individuo come il bene supremo esalta l’egoismo e giustifica la sopraffazione degli altri, se di ostacolo ai propri progetti o aspirazioni. Quindi quella di Ayn Rand è un’altra trasmutazione di valori: se tutti ci comportiamo da supremi egoisti, allora staremo tutti meglio e il bene comune sarà assicurato dalle soddisfazioni dei singoli individui. Anzi, il bene comune come nozione sparirà, perché non ci sarà nulla in comune.
L’astrattezza di una visione del genere che non tiene conto dei dati di realtà e dei bisogni delle comunità è la giustificazione morale della violenza e della lotta di tutti contro tutti, in cui i pochi forti prevalgono e i molti soccombono. Non a caso la perfetta realizzatrice di una simile filosofia è proprio Cathy Ames, la Kate divenuta tenutaria del miglior bordello di Salinas, dopo aver blandito e avvelenato la precedente tenutaria, dal momento in cui ha saputo di essere stata nominata sua erede.
Cathy Ames realizza il suo massimo bene, che è diventare ricca e comandare sugli altri. Per fare questo tenta di abortire ma viene fermata, partorisce due gemelli, Cal e Aron, e li abbandona subito, non prima di aver sparato al marito, Adam, che vuole impedirglielo.
La sua fuga verso la città è il momento in cui Cathy riprende in mano la sua vita: prima si era fatta mantenere da un procacciatore di prostitute, che l’aveva massacrata di botte quando aveva scoperto che era stata lei a uccidere i genitori nell’incendio della casa, facendo credere di essere morta.
Il periodo con Adam è un intervallo, il tentativo riuscito di nascondersi dall’ex magnaccia e dalla giustizia. La sua fuga è il momento in cui smette di dipendere da qualcuno e inizia a mantenersi con il solo lavoro che ha imparato a fare: la puttana.

Ragione soggettiva e oggettiva

Il comportamento di Cathy, che pure Steinbeck condanna, non è la messa in pratica delle affermazioni di Ayn Rand?
Cathy Bates è una persona che ha coraggio nell’affrontare le avversità e non ha paura di architettare delitti ed è perciò a suo modo eroica e morale; perché non c’è dubbio che persegua il suo bene individuale, che si traduce in ricchezza, quindi una ricompensa al suo operato. Tutto questo lo raggiunge con freddezza e calcolo, quindi con l’uso della ragione. Cathy o Kate è mossa dall’intelligenza, che usa in ogni suo gesto dissimulatorio della sua vera natura e la ragione di cui si serve non è la ragione che muove le azioni umane verso un bene comune, ma verso il bene individuale a discapito delle vite altrui.
Nell’Eclisse della ragione Horkheimer distingue fra ragione soggettiva e ragione oggettiva, dove la prima risponde al principio di autoconservazione attraverso l’uso razionale di mezzi e fini (Wikipedia, voce italiana) e la seconda forma invece un intero sistema morale capace di trascendere gli individui.
Sicuramente il personaggio di Cathy Bates sembra incarnare alla perfezione gli ideali di Ayn Rand e Steinbeck ci mostra il lato peggiore, anzi lui stesso ci anticipa quello che pensa di quel personaggio, cioè che è il male incarnato.

Il libero arbitrio

Ma perché allora, alla fine, è proprio lei quella che fa la cosa giusta? Da dove esce quell’empatia che prova per Cal quando gli presta i soldi? E’ l’esercizio del libero arbitrio, che deriva dalla comprensione reciproca. Quando riesco a capire il tuo problema, a immedesimarmi nella vita degli altri per un attimo, a capire quello che provano, allora la mia scelta sarà quella giusta.
E’ questo, in sostanza, l’ultimo tema del libro di Steinbeck, ovvero l’esercizio della propria capacità di scelta che avviene dopo la comprensione delle ragioni dell’altro. Cal è o si sente il cattivo dei due gemelli ed è a lui che tocca redimersi agli occhi del padre e lo farà con una speculazione sui fagioli con il denaro prestatogli dalla madre.
I due cattivi alla fine faranno la cosa giusta. Quanto è attuale questa lezione e quanti altri dopo Steinbeck hanno sviluppato questo escamotage fino a farlo diventare un cliché: quello del mostro che vive ai margini della società, temuto o cacciato da tutti – comunque rifiutato – che alla fine salva i buoni, spesso a prezzo della vita. Li troviamo nei poliziotti cattivi e corrotti di Ellroy, nei mostri che vivono nelle foreste dell’East Texas nelle storie di Lansdale. Steinbeck relativizza quello che inizialmente aveva chiamato il male assoluto: lo scioglie nelle ambiguità e contraddizioni dell’umanità, secondo cui spesso i buoni causano disgrazie serie e guai per ignavia e i cattivi si redimono dopo una vita di azioni turpi.
I cattivi devono comportarsi bene per farsi perdonare, perché sono più consapevoli, sanno di aver fatto del male e portato dolore; i buoni invece non sanno quali sofferenze possono causare con il loro comportamento retto al limite del narcisismo.
Tutto questo è la conseguenza del rifiuto, che secondo Steinbeck è all’origine del peccato e del male. E’ Lee, il servo cinese di casa Trask, che fra l’altro alleva i due gemelli Aron e Caleb, che legge il passo della Bibbia relativo alla storia di Caino ed Abele, in cui veniamo a conoscere la causa del furore di Caino, che ucciderà Abele.
La causa è nella gelosia dell’affetto di Dio (il padre) che apertamente rifiuta e disprezza i doni di Caino (i frutti della terra) e accetta e benedice quelli di Abele (gli agnelli).
Che questa scelta nella Bibbia possa avere origini culturali (gli Ebrei erano un popolo di pastori), come molti sostengono per lenire la portata di quell’atto, poco conta, perché Steinbeck si e ci interroga attraverso i suoi personaggi sul perché di quella scelta e non sa trovare una risposta.

La domanda delle domande: dio è malvagio?

Se ci hanno insegnato che Dio è bontà creatrice, perché questa incoerenza? Per giustificare il male del mondo? Per insegnare agli uomini a diffidare gli uni degli altri? Sono le domande senza risposta che atei e credenti si pongono da millenni, ma qui non è in ballo l’esistenza di Dio. Steinbeck vuole farci riflettere sulle possibilità che abbiamo attraverso l’interpretazione controversa di alcuni versi della Genesi che Steinbeck farà commentare al cinese Lee, che si rivela la coscienza del racconto e che a oggi sono la spiegazione del romanzo, la giustificazione del suo motore.
Dopo che Caino ha ucciso Abele, Dio ha uno strano dialogo con lui e lo ammonisce a guardarsi “dal peccato che si rannicchia dietro alla porta, ma tu lo sconfiggerai.”
Detta così, la frase suona come una predestinazione ineluttabile: se trovi il peccato dietro alla porta, non ti preoccupare, perché lo vincerai. Questo, dice Lee, è un errore di traduzione che viene riportato nella Bibbia di Giacomo (quella in uso per secoli nel mondo anglosassone), mentre la parola originale timshel ha un significato più probabilistico e potrebbe tradursi con “puoi” , “potrai”, “avrai la possibilità di” (C. William Perkins – Book Review: East of Eden by Steinbeck). E questo fa la differenza fra l’ineluttabilità di una legge della fisica (date certe condizioni, allora deve verificarsi questo) e le variabili del libero arbitrio (puoi scegliere se fare o non fare una certa azione).
Quindi, il mondo di Nod, a est dell’Eden dove Caino andrà a vivere e avrà discendenza, sarà soggetto ai capricci del libero arbitrio e dell’esercizio della volontà. Non ci sono leggi divine che obbligano a comportarsi in una certa maniera perché la divinità ci dice solo che è possibile sconfiggere il male, ma non come farlo, sta a noi capirlo e decidere di conseguenza.

Le bugie

Un altro tema del libro è il segreto e le bugie e omissioni dette per mantenerlo. Questo per molti è il tema morale fondante, che tocca le corde più sensibili dei lettori americani. La bugia è peccato e non esiste bugia a fin di bene e nemmeno bugia od omissione che sia meglio della verità.
Mentire è una delle azioni più basse e meno tollerabili, al punto che le bugie di Clinton sono servite da pretesto per avviare la procedura di impeachment nei suoi confronti. Così la bugia più grande, ovvero l’identità della madre di Cal e Aron, porterà alla tragedia finale.
Di questo il padre Adam è responsabile più di chiunque altro e la menzogna diventa il perno della trama perché genera riprovazione, mentre altri temi che potrebbero inorridire o spaventare un europeo o un asiatico, come l’uso della violenza, non sono così sentiti.
Il mondo della menzogna e dell’omissione in cui vivono i due gemelli genera una realtà artefatta per Aron, il buono – o lo stupido – dei due, mentre Cal, più intelligente, e ha capito tutto, ma omette la verità al fratello per proteggerlo e nel far questo si sente in colpa, malvagio e crudele, arriva a implorare Dio di non farlo essere cattivo. Lo ripete più volte, alla fine del capitolo 30, con la supplica di un animo tormentato.
Ma noi lettori stiamo con lui, perché è lui che si assume il fardello e l’onere della verità ed è lui che accetta con umiltà il ruolo di secondo che gli viene dato dal padre: secondo per forza e bellezza e secondo nell’affetto del padre rispetto al fratello.
Per quanto in alcuni tratti ricordi la madre, a lui non manca quella parte di incontro con l’umanità che a Kate, sociopatica, fredda e calcolatrice è sempre mancata. Cal ha preso il buono da Kate, cioè la capacità e l’intelligenza di prevenire le situazioni, di intendere nelle cose, di trovare le corde che sanno muovere ognuno verso i propri fini.
Quanto lontani sono da Adam ed Aron, tutti compresi nel loro mondo di bontà e valori, ognuno testardo nel perseguire la propria idea, senza farsi distogliere da altri pareri in contrasto.
La differenza con i Cal e le Kate di questo mondo è che loro sanno già di arrivare secondi, e si sono abituati fin da piccoli ad annusare l’aria, a tener dritte le antenne, fino ad acquisire capacità superiori di comprensione e di immedesimazione nell’altro, capacità di cui si servono per manipolare gli altri verso i propri fini.

American Epic

E’ vero che una come Kate è profondamente insensibile al destino altrui, ma non gioisce per le loro sventure. Il suo tipo di empatia riguarda i soli punti deboli e su quelli si mette a lavorare. Si potrebbe parlare di bagliori di empatia selettiva, mentre Cal conserva quella caratteristica, ma è in condizione di scegliere: può fare il male oppure il bene, mentre per Kate questo non rappresenta un problema.
La capacità di Steinbeck di rendere ciascun personaggio evidenziandone i tratti comuni con gli altri, ma fornendo loro caratteristiche proprie da renderli riconoscibili e unici è il merito migliore di tutto il romanzo, che potrebbe essere affiancato ai grandi russi come tipo di respiro ed ambizioni.
Lo stesso Steinbeck aveva da sempre considerato East of Eden come il migliore dei suoi romanzi e sicuramente va oltre all’epica che molti cercano in quello che dovrebbe essere il Grande Romanzo Americano, cioè il racconto che dovrebbe diventare il paradigma della nazione.
Chi pensa in questi termini, considerando ad esempio La Divina Commedia come la summa dei vizi e delle virtù degli italiani, o i Buddenbrook o L’Uomo senza qualità i racconti degli imperi centrali in declino, non considera che le ambizioni dei loro autori erano quelle di indagare sugli aspetti dell’animo umano, calando i loro personaggi nel divenire storico.
Cioè, data quella situazione che essi stessi conoscevano meglio di ogni altro perché era la loro, come avrebbero reagito i loro protagonisti?
In questo non c’entra nulla l’idea di fare un affresco o si spiegare a qualcuno le origini delle nazioni in cui vivevano. Le loro ambizioni erano universali e solo i critici deteriori possono cercare qualcosa di così inesistente come l’essenza o il motivo fondante di una nazione, dell’essere americano, piuttosto che russo o giapponese. E’ particolare che questo tipo di ricerca abbia ossessionato la critica statunitense, mentre il resto del mondo si preoccupava di altro.

Un romanzo dove si trova tutto

In ogni caso La valle dell’Eden resta uno dei migliori romanzi di sempre, uno di quelli in cui l’azione dei protagonisti e i livelli di lettura si sovrappongono: c’è la dimensione psicologica dei personaggi, con il grande tema del rifiuto, che è secondo Steinbeck la radice di ogni male. A partire dal rifiuto dei genitori, che causa l’anafettività dei figli, al senso di persecuzione, alla convinzione di essere soli contro tutti e di avere ragione senza ascoltare i motivi dell’altro.
C’è un livello morale, secondo cui ci costruiamo attraverso le negazioni, cerchiamo la nostra perfezione, ma siamo in balia degli altri e degli eventi, su cui possiamo esercitare solo il libero arbitrio che a ognuno è concesso. E’ una delle chiavi del romanzo, assieme al tema del rifiuto, che si trova nell’analisi della parola ebraica timshel, contenuta nella Genesi, che è anche l’ultima parola che dice Adam prima di morire.
C’è un livello storico e filosofico, espresso quasi sempre all’inizio dei diversi capitoli, in cui si da conto dei progressi tecnici con l’arrivo dell’automobile e politici, con l’avvento della Prima Guerra Mondiale e il punto di vista, che è sempre quello della provincia, della città di Salinas, capoluogo di una contea di campagna, dove si crede (già allora, i complotti!) che il perdurare del maltempo o della siccità sia dovuto all’uso degli obici sul fronte francese.
E tutto questo ovviamente fregandosene delle regole, del mostrare e non dire, che avrebbero già affossato questo capolavoro.
Steinbeck ha raggiunto un livello tale nella capacità di narrare e descrivere i personaggi che non ha bisogno di imporsi di dover mostrare, perché riesce nell’equilibrio di far rientrare le digressioni nella narrazione, senza far la figura del saccente che vuole dimostrare o istruire ex catedra. Il tutto immerso nella campagna californiana attraverso le stagioni e gli anni che si snodano, una natura che assiste alla vita di due famiglie, ma che – si capisce alla fine – si concentra in realtà sulla vita di Adam, che accompagna tutto il libro, che inizia con la sua nascita e termina con la sua morte.