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Jennifer Egan - Manhattan Beach

A dispetto del nome, Manhattan Beach è una spiaggia di Brooklyn, il più grande ed esteso dei cinque borough di New York, che è il luogo in cui si svolgono tutte le vicende relative ad Anna, la protagonista. Anna è la figlia di Eddie Kerrigan, irlandese, che svolge un’attività di posta per conto di un piccolo boss dei moli: è un tuttofare, porta soldi e messaggi; ne è diventato l’uomo di fiducia perché gli ha salvato la vita mentre stava affogando. Così, mentre la maggior parte delle persone affonda nella disperazione per aver perso lavoro e risparmi dopo la crisi del ’29, Eddie Kerrigan riesce in qualche modo a galleggiare in un mondo in bilico fra crimine e legalità.
Il libro si apre su una visita del padre con la figlia Anna a Dexter Styles, gestore di ristoranti, locali e bische per conto della mafia italiana. L’incontro avviene alla casa di lui, una stupenda villa che si affaccia su Manhattan Beach. Quell’incontro è cruciale per le vite di tutti e tre e da quell’episodio prendono inizio in salita e in discesa tutte le vicende del romanzo.
E’ un romanzo perfetto con tutti gli incastri al posto giusto e l’uso sapiente dei flash back e flash forward, così come degli spostamenti di luoghi, personaggi e azione quando nella seconda parte apprendiamo le vicende di Eddie Kerrigan, il padre scomparso di Anna e dato per morto. Quest’ultimo tronco narrativo sacrifica la tensione e la parte emotiva del romanzo, incentrato sul successivo incontro e relazione fra Anna e Dexter Styles, così come sulla ricerca di Anna del padre.

Manca un passaggio

L’incontro fra Anna e Dexter avviene a metà libro, hanno una relazione di una notte ed Anna scoprirà più avanti di essere rimasta incinta.
Atteso che Dexter Styles è l’esecutore dell’assassinio di Eddie Kerrigan, perché lo ha narcotizzato e trasportato su una chiatta per gettarlo in mare incatenato a un peso. Atteso che Eddie Kerrigan capisce cosa gli sta succedendo, finge di perdere i sensi e una volta sott’acqua riesce (miracolo, Houdini!) a liberarsi dalle catene e dal peso che lo stava trascinando verso il fondo nelle acque buie (il fatto avviene di notte).
Assodato tutto questo, non si capisce il perché Dexter Styles decida di portare Anna sul luogo del delitto. Non è perché è innamorato di Anna, perché quello con lei è stato un rapporto occasionale, in cui fra l’altro Anna scopre le carte dicendo di essere la figlia di Eddie Kerrigan (prima aveva mentito, dando un altro cognome) e quando chiede notizie di suo padre si scontra con la sua reticenza.
Qui manca un passaggio: dopo la notte si sesso fra Anna e Dexter, la macchina narrativa si sposta verso Eddie Kerrigan imbarcato su una nave Liberty a San Francisco, e poi torniamo a Brooklyn sulla chiatta, di notte. Qui avviene la conversione di Dexter Styles, perché respirando l’aria nella notte arriva a sentirsi “americano” (così nel testo), intuendo in questo pensiero il sentirsi parte di una comunità che sta vincendo la guerra e si appresta a comandare il mondo. Sono cose che vengono dette nei salotti frequentati dal suocero di Dexter, un banchiere con le connessioni giuste negli ambienti politici e militari di Washington, e Dexter si sente chiamato a fare grandi cose.
Vorrebbe vendere tutti i locali che gestisce – legali e illegali – e investire il ricavo in buoni del tesoro di guerra, convinto di prendere due piccioni con una fava: da un lato ripulire tutti gli affari illegali, dall’altro incassare gli interessi alla fine del conflitto. Ma questa sua idea viene bocciata sia da Q, il boss, sia dal suocero.

Ognuno al suo posto

Entrambi gli ricordano che il suo posto e il suo ambiente coincidono con la posizione che ha raggiunto: stare seduto su quel mondo di mezzo a cavallo fra legalità e crimine, gestire l’esistente, corrompere poliziotti o giudici per chiudere un occhio sulle bische, ricattare i politici con foto mentre frequentano i suoi locali. Dexter non può migliorare, non può diventare anche lui un banchiere, suo suocero glielo fa capire, mentre Q non gli spiega il perché, ma evidentemente preferisce avere una continuità nel business invece che vendere tutto. Ma questa cosa fa vacillare la sua reputazione, e finisce ammazzato a colpi di proiettile, in puro stile mafioso.
La notizia finisce sui giornali, Anna ne è scossa; dopo quella notte in mare in cui anche lui ha preteso di immergersi da palombaro, non lo ha più visto. E da poco ha capito che il ritardo del ciclo di due mesi non è dovuto allo stress delle immersioni che lei fa per lavoro al cantiere navale, ma di stare aspettando un figlio da lui.
Ma su quella chiatta nel buio della notte sull’East River, Dexter Styles è assieme agli stessi uomini della notte in cui avevano buttato suo padre a mare e accompagna Anna a cercare suo padre in fondo al mare. Ritrova il blocco di cemento e il suo orologio da taschino, lo riconosce e si convince che è morto.

American epic

Poi, come in una fiction televisiva in stile Lost, Eddie Kerrigan si ripresenta davanti a sua figlia. Il patto di credulità con il lettore esce scosso, mentre la narrazione, lo scavo psicologico, la lotta che Anna deve fare per essere accettata in un mondo di soli maschi come quello dei palombari è la vera parte forte del romanzo, quella che più fa pensare all’epic che tutti i romanzieri americani cercano.
Tutto infatti ha un respiro così potente che la trama sottostante ne esce ridimensionata – e non è un male. Ci sono i grandi avvenimenti storici della Seconda Guerra Mondiale, c’è una nazione che crede in quello che fa, ci sono donne che vanno a lavorare al posto degli uomini, fiere di quello che stanno facendo, pronte a donare sangue e denaro per i mariti, padri e fratelli in Africa, Europa e sul Pacifico. Ci sono frizioni con il mondo degli uomini, ma la guerra è il grande momento di trasformazione sociale.
Eddie Kerrigan, imbarcato come l’ultimo dei marinai a spalare carbone nella caldaia, riesce in cinque anni a imbarcarsi come terzo ufficiale su una nave Liberty dopo aver fatto un corso in Marina. Vite intere svoltano e bianchi e neri lavorano e combattono fianco a fianco – anche se i neri sono ancora negri – così li chiama Jennifer Egan.
La trama diventa una scusa per raccontare come si è trasformato il mondo, verso un futuro prossimo che tutti credono migliore del tempo che stanno vivendo. E’ questa tensione che Jennifer Egan riesce a rappresentare: l’idea del progresso e della perfettibilità dell’uomo.
Anche di carogne come Dexter Styles, che riesce a svolgere una buona azione disinteressata quando accompagna Anna e sua sorella Lydia, paraplegica dalla nascita, a vedere il mare.

Un falso cattivo

In questo senso manca in Manhattan Beach la figura di un antagonista, di un vero cattivo. Dexter Styles, che dovrebbe suscitare inquietudine e mettere le mani nel sangue a ogni sua apparizione, viene dipinto nella sua esistenza ordinata e borghese, mentre rientra a casa e vede i figli, ci gioca assieme, oppure quando va alle cene di famiglia, in cui pende dalle labbra del suocero banchiere. Sono mondi diversi che si sfiorano, nella vita di Dexter, ma procedono ben distinti e lui lo capirà a prezzo della vita.
Francamente anche la sua fine a causa di questa posizione, cioè quella di rendere legali tutte le attività mediante l’acquisto dei buoni di guerra, sembra poco spiegabile, se non con la necessità narrativa di togliere di mezzo un personaggio che si potrebbe ripresentare e magari lasciare la famiglia per mettersi con Anna, fuggire assieme e allevare il figlio in qualche oscura città del Midwest negli anni Cinquanta, mentre lui si adatta a fare il rappresentante di commercio.
Dexter, per quanto empatico, è il personaggio meno riuscito, perché è quello di cui non si capiscono le motivazioni.
Disprezza il padre perché onesto e fin da giovane si mette alle dipendenze di Q. Nei gangster e nei mafiosi vede i fighi, quelli che ce la fanno, gli scaltri, quelli che hanno capito tutto. E lui è sveglio, fa carriera, diventa il figlioccio di Q, a cui risponde, a cui è fedele e a cui obbedisce macchiandosi di crimini, organizzando delitti. Ma sono tutte cose che intuiamo e che solo nella scena della chiatta, verso la fine del libro, in cui è già convertito come l’Innominato, comprendiamo il suo lato feroce e sanguinario.
Qual è allora la funzione di Dexter: quella di un criminale dal cuore buono? Di cerniera fra Anna e suo padre? Se avesse voluto farcelo vedere cattivo, Jennifer Egan avrebbe inserito almeno una scena violenta di lui come torturatore o carnefice. Invece, al massimo, allude, come nel caso del dipendente licenziato che lo vuole ricattare – e che per questo farà una brutta fine.
Anche la fine di Dexter è – tutto sommato – casuale. Viene ammazzato dal figlio di un boss di Chicago riparato a New York e da lui maltrattato qualche mese prima. E’ evidente che il tipo sa di poterlo fare; che – Dexter capisce troppo tardi – agisce su un preciso mandato e che lui non conta più nulla.

La donna che riesce a tenere tutto insieme

Così finiscono i suoi giorni, nel mondo da lui abitato e conosciuto fin da ragazzo; in quel mondo in cui è cresciuto e diventato grande negli anni del Proibizionismo, in quel mondo che lo ha nutrito e distrutto all’improvviso.
Anna è l’eroina del romanzo, ragazza e donna senza macchia, che si batte per la giustizia e per i più deboli, in primis la sorella. Che non si da pace per la scomparsa del padre. Che lotta, da sola, per diventare palombara, prima donna e contro la volontà del capo istruttore, il Luogotenente Axel, che farà di tutto per escluderla. Anna che prova il sesso precocemente, al buio e per anni, con un compagno di giochi, che vive un’avventura con l’assassino di suo padre solo per scoprire che fine avesse fatto.
Che vorrebbe abortire ma poi (eroica!) decide di tenere un figlio il cui padre è già morto e anche qui ci sarebbe da dire, perché come ha scritto una critica, di questi tempi nessuno osa scrivere (soprattutto in USA) di una donna che decide di abortire. La scelta di tenere il figlio a dispetto di tutto, introdurlo in una specie di gineceo, lontano, in California, con una vecchia zia avventuriera a fare da baby sitter mentre Anna va al cantiere navale a lavorare è il sogno della donna che si fa spazio, sfondando il tetto di cristallo e riesce a tenere tutto: lavoro, carriera e figli. Per gli uomini – compagni o mariti – non c’è spazio, se non in avventure occasionali.
E’ questo il nuovo sogno americano? Le donne che vanno oltre gli ostacoli e le contrapposizioni tradizionali, che portano avanti la specie e si fanno carico del suo futuro, che ignorano i conflitti fra crimine, corruzione e società civile (nozione europea e italiana, più che americana), che sorpassano questi conflitti e camminano sulla storia, ne diventano il motore.
Un disegno nobile, niente da dire, ma preferisco il femminismo di Goliarda Sapienza, fatto di un’alleanza complice fra uomo e donna che combattono assieme, dalla stessa parte, per le stesse cose: stipendi, diritti, una vita migliore.
Manhattan Beach resta un bel romanzo, un romanzo quasi perfetto – a parte alcune incongruenze nella trama – perché l’andamento asincronico nega una parte di suspense. Ci piace immaginare Anna e sentire cosa prova quando infila la tuta da palombaro e si immerge nel fondo melmoso dell’East River, nei cantieri dove si costruivano le corazzate, che avrebbero fatto vincere agli USA l’ultima guerra.