James Hilman - Il codice dell'anima
Hillman non è l’ultimo stregone, lo Jodorowsky di turno che si inventa riti pseudo sciamanici a costo di peggiorare le condizioni delle (spesso) sue pazienti. E’ stato studioso di Jung, presidente dell’associazione a lui intitolata e accademico americano, conferenziere e autore di venti libri in cui illustra gli sviluppi della scuola junghiana.
Quello che rende affascinante Jung è anche ciò che lo rende poco credibile, e cioè l’impossibilità a dare basi solide all’idea che la natura umana sia in gran parte fondata su archetipi universali, di cui la terapia debba tener conto.
Hillman segue queste premesse e ne Il codice dell’anima espone la teoria della ghianda, secondo cui dalla nascita ma anche prima della nascita esiste un genio, un daimon, o un angelo custode che ci spinge a svilupparci per adempiere alla nostra missione, ciò per cui siamo venuti al mondo.
Credo che questo sia un discorso di natura morale e intriso di quell’ideologia puritana per cui tutti noi dobbiamo per forza avere una missione, una di quelle teorie del tutto che per tutto ricomprendere devono spiegare i fallimenti e le eccezioni come un incompleto dispiegarsi della magica e fatale forza del daimon.
Una spiegazione affascinante
Messa in questo modo, vale tutto. Essendo questa teoria della ghianda spiegata per chiarire ai genitori ciò che potranno diventare i loro figli mediante la scoperta di ciò che già sono fin dalla nascita, vengono chiamate in causa le vite degli uomini illustri e – guarda caso – in queste biografie si trova di tutto, dalle predisposizioni che si impongono prepotenti fin dall’infanzia, fino ai disastri psicologici, comportamentali o sociali di molti famosi, che vengono spiegati con il peso eccessivo che il daimon imponeva a questi bambini e bambine e che adottavano certe reazioni o sociopatie proprio per proteggersi dalla ferrea volontà del daimon.
Tutto questo è una spiegazione affascinante, ma come tutte le dimostrazioni ex-post, funziona solo per quelli la cui storia di uomini o donne di successo è già nota.
Ma, domanda: come fa un genitore a consolarsi o farsi una ragione soltanto con la similitudine di un caso analogo a quello dei suoi figli accaduto a illustri prima di lui? Devo essere contento che mio figlio va male a scuola perché Einstein era un asino e a diciassette anni aveva detto che tutto quello che aveva imparato a scuola era inutile?
Con l’aria che tira oggi ci manca solo una stampella del genere a un certo tipo di genitore, che difende i propri figli dagli insuccessi incolpando l’incapacità dei professori o l’insufficienza della scuola. Eppure Hillman ci elenca casi di uomini o donne famosi, o loro dichiarazioni a proposito dell’inutilità della scuola e della noia o inadeguatezza patiti durante il periodo scolastico.
Il daimon è solo dei vincenti?
Noi conosciamo solo le dichiarazioni dei vincenti, ma che si può dire di tutti quelli che hanno affermato le stesse cose e non sono diventati né ricchi né famosi? Che non hanno trovato la loro strada nella vita? Oppure che hanno trascorso la loro esistenza nel rancore o nella frustrazione o – peggio – sono nati in condizioni socio ambientali estreme, ad esempio in una baraccopoli a Mumbay o Kinshasa e non sono riusciti a uscire da lì? Di quale daimon stiamo parlando?
Mi sembra che questa teoria della ghianda sia una teoria che giustifichi l’elitismo e l’esistenza delle elite per diritto di elezione, proprio perché è impossibile per logica credere che chiunque sia destinato a diventare una persona straordinaria, amata o in grado di portare aiuto e comprensione agli altri.
Al termine del libro, forse accorgendosi di questa lacuna, Hillman dedica un capitolo alla mediocrità, affermando che il daimon in generale rifugge dalla mediocrità, e che se il genio di qualcuno spinge la persona verso le posizioni mediane della maggioranza, allora diventerà una specie di fanatico della medietà, uno strenuo difensore della norma e come esempio illustre cita Oliver North (scandalo Iran-contras) e Thomas Dewey (dirigente del partito repubblicano ed eminenza grigia della macchina del partito per molti anni). Ma anche se valgono come esempio, parliamo in ogni caso di persone eccezionali, che hanno scoperto e assecondato con successo il loro daimon.
Le responsabilità dei genitori
Detto questo, paradossalmente dove il discorso di Hillman convince di più è nella pars destruens, ovvero quando ridimensiona i genitori dal proprio ruolo. Proprio per il fatto che i figli nascono già influenzati dai fili invisibili del daimon, che è un angelo o un’entità soprannaturale che sceglie i genitori, seleziona seme e ovulo che daranno forma a quella vita che dovrà essere riempita dal destino del genius (perché questo è quello che dice Hillman, salvo ridimensionare quest’affermazione dicendo in un’intervista che si tratta di un mito), allora i genitori sembrano esentati dal fardello dell’eccessiva responsabilità di cui si sentono caricati.
Questo non vuol certo dire abbandonare i figli in mezzo alla strada oppure disinteressarsi della loro vita, degli studi e delle loro passioni e – attenzione – non significa nemmeno essere disinteressati al loro futuro con l’intento di non interferire nelle loro scelte. E’ anzi umano e normale sognare un avvenire e ciò che riteniamo sia meglio per loro.
Quindi il filo di lama fra l’imposizione e il disinteresse o il finto interesse è la vera impasse dei genitori, che devono soltanto avere l’accortezza di scoprire il genius dei loro figli. Che è una fatica, se non individuando certi tratti del carattere e lavorare per farli emergere, e contemporaneamente non farli emergere mostrando lati deboli che potrebbero essere attaccati.
Essere o divenire?
Il grande problema, prosegue Hillman, è determinare ciò che è natura – ovvero la genetica, il gioco dei cromosomi alla nostra nascita – e cultura, cioè l’ambiente in cui si nasce, se nel nord o nel sud del mondo, se in una famiglia ricca o povera, città o campagna, con genitori istruiti o analfabeti e via dicendo.
In questo modo di intendere le cose sta la dannazione del pensiero occidentale, il pensiero per opposizioni: bianco o nero, buono o cattivo e via dicendo, non viene in mente una terza posizione, quella dell’anima, che si fa strada in mezzo alle opposte determinazioni dei geni e dell’ambiente. E questo potrebbe essere accettato, perché è un bene accogliere quella parte di inspiegabile che non può esser ricondotto al determinismo: è parte della nostra intima libertà, è qualcosa che va scoperto, coltivato e preservato.
Ma da qui a costruire la teoria della ghianda, che poi è la ripresa del mito platonico dell’anima che discende in un corpo e che viene tessuta dai fati, le Moire, prima ancora della nascita, ce ne passa. Perché quest’ultima teoria assomiglia alla reincarnazione induista o buddista e dal punto di vista ontologico illustra un’idea deterministica figlia dell’essere piuttosto che accettazione del divenire, che è il vero dispiegarsi dei fati, contro i quali, come si sa, neanche gli dei possono.
Alla ricerca di un destino
Restiamo nudi, perciò? Non c’è nessuno a proteggerci o indicarci la via? Eppure qualcosa deve intervenire nella vita di ognuno di noi; qualcosa di non spiegabile, sprazzi, illuminazioni temporanee, satori e intuizioni che cambiano il verso della nostra vita.
Esistono coincidenze significative: un luogo visitato tempo prima diventa il nostro luogo anni dopo. E’ successo perché ci siamo stati anni prima? Persone sfiorate e reincontrate anni dopo, che ci hanno aiutato o cambiato la vita, a chi non è accaduto?
Genio? Destino? Angeli custodi? Coincidenze? Nessuno potrà mai scegliere ed è bene che sia così; basta registrare il doppio evento e credere – con il senno di poi – che, forse, sì, c’è stato un disegno, ma di chi sia la mano questo lo ignoriamo.
Ma allora siamo eterodiretti fin dalla nascita, c’è un destino per ciascuno di noi?
Qui Hillman si impantana perché cerca di salvare la libertà di scelta e le libertà individuali (come farebbe a rendersi accettabile in America se sostenesse il contrario?) negando che ci possa essere un destino, ma sostenendo questo contraddice la teoria del daimon, che agisce da prima della nascita. D’accordo, non c’è destino, dice Hillman, ma il daimon di ognuno agisce sempre, ogni giorno, qui e ora; cioè ci sarebbe una forza che ci spinge ad agire in una certa maniera, ma non è in vista di un risultato finale.
Ma se non ha una finalità, quali sono gli scopi di questa forza? Non ho trovato una risposta.
Un atomo irriducibile di energia
Un tempo ero affascinato da William Blake, dall’idea che esistessero mondi e anime in altre dimensioni, quelle che lui aveva cercato di illustrare con i suoi disegni. Modi per raggiungere la santità intesi come percorsi personali che non necessariamente dovevano prevedere un’ascesi attraverso privazioni, ma al contrario, con una discesa nel mondo, verso la conoscenza intesa come esperienza.
Dal punto di vista poetico è un’immagine efficacissima (e infatti non è un caso che sulla copertina dell’edizione italiana sia riportato un Atlante disegnato da Blake), quella del viaggio dalla purezza, dalla luce di altri mondi prenatali giù giù fino alla terra, a mettere radici e nuovi germogli e Blake ha costruito il suo mondo su questo.
Sulla base di quanto scrive e afferma Blake possiamo ammettere che la teoria della ghianda sia una possibilità che risulta affascinante in un mondo poetico e che la poesia è necessaria alla comprensione, ma non possiamo assumere che un’intera teoria su noi stessi sia fondata solo su questo.
E’ vero, Hillman ammette anche i geni e l’ambiente, quindi questa forza che ognuno porta dentro di noi, questa energia è qualcosa di ammissibile; è quello che i teosofi chiamano aura, che non è un concetto così distante dal daimon, ma non è così chiaro e determinato come lo presenta Hillman all’inizio del suo lavoro.
Quindi la teoria di Hillman è accettabile solo se ridimensionata dalle premesse iniziali e cioè:
1) Ognuno di noi ha un suo daimon o genius che decide della nostra esistenza ancora prima della nascita scegliendo i genitori e perfino l’ovulo e quale spermatozoo andrà a fecondarlo. Indimostrabile
2) Il daimon occupa la psiche del bambino e lo spinge spesso a reazioni estreme perché non ha età e nasce già adulto. Dallo scontro fra la mente di un bambino e la volontà di un adulto chi ha la peggio sarà il bambino.
3) Il daimon possiede l’intera esistenza del bambino che crescerà fino a quando la sua incarnazione sarà completa. La sua affermazione viene infatti descritta come una discesa nella vita e nell’organismo dell’individuo
Gli ultimi sue punti sono accettabili come è accettabile in matematica una dimostrazione per assurdo: dimostrata l’impossibilità e l’inspiegabilità di alcuni fatti delle nostre vite attraverso la spiegazione genetica, biologica o ambientale, non resta che ipotizzare l’esistenza di un qualcosa, di un nucleo irriducibile, un nocciolo di centrale atomica che continua ad irradiare energia e che ci spinge nelle nostre azioni, parole e comportamenti, ma è la nostra stessa essenza, non c’è nessun daimon dentro di noi a suggerirci.
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