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Ivan Turgenev - Padri e figli

A Turgenev forse si deve la nascita dell’ossessione per il nichilismo nella letteratura russa dell’Ottocento. Non si può leggere del personaggio di Bazarov in Padri e figli e non pensare ad altri giganti usciti più tardi dalla mente di Dostoevski e cioè di Nikolaj Stavrogin nei Demoni e di Ivan Karamazov nei Fratelli Karamazov. Ma è con Turgenev che parte tutto. Nel 1862 esce Padri e figli, ambientato nel 1859. Nel 1872 esce I demoni e nel 1880 I fratelli Karamazov.
Chi ha già letto le vette e gli abissi dostoevskiani potrebbe restare deluso da Padri e figli e dalla figura di Bazarov. Tuttavia questa figura influenzerà così tanto e a lungo gli autori russi della seconda metà dell’Ottocento fino a generare il culmine di un processo in cui ambizioni umane e superumane si andranno a schiantare contro la storia e i sentimenti – o la negazione dei sentimenti – generati dalle vicende.

Bisogna intendersi sul nichilismo

Bazarov e Arkadj Kirsanov sono due studenti che tornano per l’estate a trovare i genitori dopo aver terminato il loro corso di studi a Pietroburgo. Si dichiarano nichilisti, così come il nichilismo è storicamente accaduto nella Russia di metà Ottocento. Turgenev ci fa apparire il nichilismo di Bazarov, che è la guida di Arkadj, la personalità forte e trainante, come una negazione di tutto. Dal punto di vista politico Stato, Chiesa, zar, autorità vengono negati. L’idea è che bisogna spazzare via tutto per costruire il nuovo. Non ci si preoccupa di definire il nuovo. Bazarov non si lascerà mai scappare di volere la repubblica, il comunismo, la distribuzione delle terre o l’anarchia. Potrebbe essere il prodotto di un’autocensura dell’autore per paura della polizia politica zarista, ma in questo caso avrebbe dovuto rimediare cercando di mostrarci un personaggio costruttivo e compassionevole.
Turgenev invece ci mostra un giovane uomo prigioniero del suo credo, che va in crisi quando per la prima volta incontra l’amore. Bazarov vive un conflitto spietato per l’attrazione che prova per la vedova Odinkova, perché ha trovato una persona come lui. O almeno crede che sia così. Le condizioni non dette del gioco fra loro due consistono nel reciproco distacco, nello sguardo imparziale e scientifico dei fenomeni.
Anna non ha mai vissuto l’amore. Ha sposato un uomo ricco di cui è rimasta vedova unicamente per sistemare la sua famiglia caduta in disgrazia. Si rivela abile amministratrice dei beni ereditati e pare che il solo suo altruismo sia nella protezione e indirizzo della sorella più giovane, di cui Arkadj si innamora e che alla fine sposerà.

La rigidità, rovina di Bazarov

Ma torniamo al nichilismo: la negazione è un fatto culturale e fondamento dell’identità di Bazarov. L’amore e gli altri sentimenti fanno parte di uno stupido, mellifluo retaggio romantico che ripugna agli uomini nuovi, dediti alla scienza quale lui è. Da qui il tormento per l’amore verso Anna che non riesce a trattenere, dichiarandosi in maniera disperata.
Ma Anna è incapace di cambiare il suo gioco, si interroga sulla natura di quello che prova per Bazarov: ne è affascinata, lo vuole con se, ma tutto questo non la spinge ad abbandonarsi e resta sempre spettatrice delle parole e sentimenti suoi e del suo pretendente.
Il rifiuto che oppone a Bazarov è la scena culminante del libro, dopo per Bazarov tutto rotola verso il basso e in questo – al contrario – la parabola di Arkadj trova felice compimento, perché non più influenzato dalle idee e atteggiamenti di Bazarov: i due amici litigheranno, si staccheranno e riconcilieranno, ma Arkadj è fatto di una pasta diversa.
Lui ama riamato suo padre e soprattutto lo zio dandy, i cui motti, vestiti e atteggiamenti sono quelli di un vecchio aristocratico che sa rendersi amabile e originale negli ambienti di suoi pari.

L’immenso mondo contadino

I contadini, i servi, i conducenti di carri, di troike sono lo sfondo di questo mondo. Il mondo contadino russo ha poche parole per esprimersi e accetta di vivere alla stessa maniera che gli è stata trasmessa dai padri. E’ uno sfondo immobile e neppure troppo consenziente alle idee che dovrebbero fargli prendere coscienza e liberarlo. L’ateismo dichiarato dei nichilisti basta ad allontanarli dalla gran parte del popolo russo. Nel corso del racconto e dei dialoghi, Turgenev fa dire ai suoi personaggi che appartengono a classi sociali superiori un numero impressionante di detti, proverbi e credenze derivati dal mondo contadino, con un misto di influenze animiste e cristiane che derivano da un rapporto fisico con la terra e gli animali.
Un rapporto che sarà facilmente travisato dalle classi superiori, che idealizzeranno i contadini come lo specchio della vera anima russa e quindi dell’umanità. Ma in Turgenev quest’umanità fa da sfondo, serve solo da supporto all’azione dei protagonisti. E’ una classe immensa che non ha una voce sua perché gli mancano le parole, i concetti e la visione del mondo restano ai confini del campo e del villaggio e non sono certo gli scrittori borghesi o nobili che possono parlare al posto suo.
E siccome le moltitudini sono analfabete, ne consegue che l’unica voce è quella delle classi alte e istruite, che volta per volta mitizzano o maltrattano una classe che – ricordiamolo – era stata da poco affrancata dalla servitù della gleba con un decreto imperiale, quindi dall’alto.
Quelle che dispregiativamente verranno chiamate “idee romantiche” nascono proprio dalla volontà delle classi colte di emancipare i contadini e i poveri da una condizione di servaggio e ignoranza. Salvo poi trovarsi contro le stesse moltitudini che gli stessi rivoluzionari volevano elevare. In Italia abbiamo avuto ad esempio Carlo Pisacane. In Russia con la sua letteratura, ma anche con i suoi giornali (che solo un’infima minoranza poteva leggere) queste idee attraversano tutta la seconda metà dell’Ottocento, incarnandosi volta per volta in personaggi estremi come appunto Bazarov, Stavrogin o Ivan Karamazov.

La caduta dei superuomini

Colpisce il punto di vista conservatore degli autori. Presentando questi personaggi in una luce negativa, rendendoli antipatici al lettore, vogliono dimostrare l’inconsistenza delle loro idee, e ci riescono facendo scontrare le loro convinzioni con la realtà, i sentimenti, le situazioni che non sempre riescono a dominare e soggiogare alla propria volontà. Il conflitto vero che termina nella loro disfatta è quello fra volontà e divenire, con l’impossibilità di piegare gli eventi secondo le proprie convinzioni.
Ma, in Turgenev come in Dostoevskj, c’è un intento più sottile, ed è quello di dare a questi personaggi il giusto alone di ambiguità, ovvero renderli affascinanti e far credere alle loro possibilità, al loro superomismo. Sono tutti personaggi dall’indubbio fascino, maschi alfa che hanno un seguito, capibranco in grado di farsi seguire senza dare ordini, leader che esercitano il carisma scientemente e sicuri dell’effetto sulle persone.
Ma la vita, i fati, gli dei – o Dio – fanno cadere la pagliuzza che blocca l’ingranaggio, la minuscola palla di neve che rotola da un pendio e termina in valanga e tragedia. Perché la caduta dei superuomini trascina con se i seguaci, lasciando spesso il campo a quelli che avevano dubitato, a quelli rimasti in disparte, o anche a quelli semplicemente opportunisti che riescono a smarcarsi e restare a galla.
La fine di Bazarov è già scritta nella sua disfatta di fronte alla Odinkova, che gli concede anche l’onore delle armi venendolo a trovare sul letto di morte. Ammalato di tifo, lei cerca di mantenere la giusta distanza per evitare il contagio: tutto è trattenuto in Anna e non è colpa sua. Non ha conosciuto l’amore e non lo conoscerà in futuro: si risposerà con un rispettabile benestante in una scelta dettata dal quieto vivere e per salvare le apparenze. Meglio per una come lei avere lo scudo del matrimonio, la presenza del marito, che serve ad allontanare importuni che possono vedere in lei la preda, la bella ereditiera da sposare. Turgenev ci dice poco del nuovo marito, ma lo descrive come un uomo tranquillo e tutto sommato disinteressato.

Una storia di soli figli

In tutto il romanzo Turgenev ci trasporta in carrozza in quattro diversi ambienti, tutti nella campagna russa, spesso viaggiando avanti e indietro da uno all’altro. Il rapporto fra padri e figli del titolo si rivela una storia dei figli soltanto. Il conflitto che viene costruito non è un vero conflitto perché è nella logica delle cose e degli affetti che i padri vogliano il meglio per i figli. I figli che non sanno cos’è il bene, vogliono soltanto cercare, sperimentare, con tanta energia e poco da perdere. I padri che permettono ai figli di tentare, i padri – e le madri, come quella di Bazarov – che si getterebbero nel fuoco per loro e i figli che sembrano non accorgersene, i figli che spesso si sentono oppressi, i figli che reagiscono.
Tutto questo è nella logica delle cose, è anche un conflitto fra età diverse. Ma è l’amore alla fine la scintilla che trasforma le vite, con buona pace dell’antiromanticismo di Bazarov. L’amore folle per Anna Odinkova a cui soccombe e che lo travolge. La morte per tifo sarà un effetto collaterale di questa chiave di volta.
Il conflitto vero è fra il dominio della volontà e l’accettazione del divenire, con gli inevitabili estremi di consegnare nel primo caso l’individuo a un’impossibile solitudine e nell’altro a lasciarsi travolgere passivamente dagli eventi.
Forse, l’unico atteggiamento sensato è quello descritto in un aneddoto zen, quello del contadino al mercato che raspa in ginocchio fra fango ed escrementi, nell’inutile ricerca della moneta d’oro che ha perso e che non sa se mai la ritroverà.