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Gianrico Carofiglio - La versione di Fenoglio

Ci sono operazioni editoriali che hanno successo, come la promozione di un autore noto che ha scritto un romanzo coinvolgente, bello, che ha trovato la storia e i personaggi avvincenti. E’ un’operazione win win, come va di moda dire, in cui vincono tutti, autori editori e pubblico.
Non è il caso dell’ultimo di Carofiglio, che sembra un compendio di come non si deve scrivere. Intanto nelle recensioni non viene detto da nessuna parte che questa non è una detective story, mentre sarebbe stato doveroso ed onesto dirlo apertamente, in presenza di un autore che ha solo pubblicato questo tipo di storie.
Quindi si crea un’aspettativa a cui, dopo le prime 30-40 pagine (e siamo già a metà libro), bisogna rinunciare a dare seguito perché si capisce che questa non sarà una storia criminale.
Potrebbe essere un romanzo di formazione, cioè i racconti di un vecchio carabiniere che fanno crescere un giovane che trova delle verità nelle parole dell’anziano, lette attraverso la lente di quella che era stata la sua vita di ragazzo fino a quel momento.
Poteva nascere una storia avvincente di presente della narrazione di Fenoglio e un doppio flashback sui suoi racconti e e sulla vita del ragazzo.

Aspettative deluse

Ci si poteva aspettare che il rapporto vecchio/giovane o maestro/apprendista o carabiniere/ragazzo potesse evolvere, ma così non è. Ad esempio – è solo un’idea – attraverso quel rapporto avrebbe potuto svelarsi un mistero insoluto della vita del ragazzo. Ci si poteva aspettare che il primo racconto del maresciallo fungesse da introduzione alla vera storia, il cui prologo sarebbe stato la dimostrazione in piccolo di quello che si andava a raccontare. Ovvero che il tema sotteso a quel racconto – la capacità di esercitare attenzione a prescindere dagli schemi – fosse sviluppato in un’altra storia di respiro più ampio.
Ma quando si capisce che niente di questo succederà siamo quasi a metà libro. La fisica non inganna: pagine spesse, quasi cartonate, caratteri in corpo 14 (almeno), fanno sembrare l’oggetto qualcosa di più corposo di quanto non sia.
Fa tutto parte dell’operazione e il packaging è importante, come in ogni buon prodotto. Ma nell’industria editoriale si scatenano le recensioni e sono tutte positive. In questo modo il romanzo arriva primo nella classifica italiana dei più venduti e ci resta per qualche settimana. Solo sul web si trovano quelle dei lettori che dicono la verità e spesso la edulcorano per rispetto. Ma bastano poche righe: c’è chi sbadiglia, chi si annoia perché dopo un po’ (diciamo le prime 30-40 pagine) non trova più tensione. E lo credo che non la trova: perché non c’è n’è proprio. Ma tutto è stato costruito perché finalmente la nave partisse e invece la nave cappotta dopo il varo.

Le botte in caserma

Questo libro è un’impostura e nell’impostura l’autore trova il tempo per giustificare le mazzate della polizia. Gli schiaffi agli arrestati, più o meno forti, più o meno tanti, più o meno frequenti, fanno parte del panorama delle nostre caserme e commissariati. Sono un fatto naturale, come le castagne in autunno o i regali a Natale. Certo, il protagonista alza il ditino, dice che lui non è d’accordo con questi metodi. Però una volta nella vita l’ha fatto pure lui, nei confronti di un marito particolarmente violento.
Ma lui non è uno di quegli altri, ed elenca quali:
1 – quelli che credono che questo sia l’unico modo per farsi dire le cose
2 – quelli che credono che certa gente capisca solo quella lingua lì
3 – infine, quelli che godono a farlo.
E’ un bel campionario. Ma siccome le botte fanno parte del panorama delle forze di polizia, e il protagonista vive in quel mondo, non ha mai provato a cambiare le cose, a discutere o cercare di far capire. Perché altrimenti in quel mondo non avrebbe fatto vita.
E così il cerchio si chiude: il vecchio carabiniere, il saggio che ne ha viste tante (ed è anche un po’ finto come personaggio, con tutte le sue citazioni colte) racconta al ragazzo smarrito che si affaccia alla vita (anche lui un po’ finto, con tutte le sue citazioni colte e insopportabili) com’è che va il mondo, come ci si comporta, che ci vuole rispetto e comprensione eccetera eccetera.
Non c’è veramente nient’altro da dire.