Francesco Filippi - Mussolini ha fatto anche cose buone
Scritto con il preciso intento di confutare i luoghi comuni che ci perseguitano da ottant’anni, cioè dai tempi della propaganda fascista in pieno Ventennio e da quello che era rimasto attaccato a quelli che un tempo si chiamavano nostalgici o fascisti, il libro di Francesco Filippi nasce da un promemoria che lo stesso autore aveva preparato per l’associazione di guide volontarie, accompagnatori di comitive ad Auschwitz. Lo stesso promemoria è servito da base al libro e riprende tutti i luoghi comuni che i vecchi e attuali fascisti ripetono come un mantra, fino a renderli accettabili anche a chi fascista non è, ovvero a riconoscere che, obtorto collo, in vent’anni di regime qualcosa di buono il fascismo doveva averlo pur fatto.
In realtà quello che viene fuori è il ritratto di un regime arraffone, soprattutto perché tende a lasciare quello che già esisteva, come i vari consorzi di bonifica, o la Cassa Mutua, poi diventata INPFS (e dopo la guerra solo INPS, sopprimendo la F di Fascista), avido di accentrare e ridisegnare i confini dei vari enti che già esistevano per mettervi a capo persone fedeli, fascisti di provata fedeltà. Insomma, la chiave di lettura sotto l’intento propagandistico del sistema pensionistico, della bonifica delle paludi, dei treni in orario è prima di tutto la presa di potere nei corpi intermedi dello Stato per riempirli di fedelissimi, generando il più delle volte sprechi ingiustificati e alimentando il deficit dell’erario.
La fascistizzazione della vita
D’altronde per costruire un regime come quello, non c’era altro modo se non quello di fascistizzare ogni aspetto della vita, che aveva un orizzonte imperiale in politica estera e totalitario all’interno. Ma soprattutto Francesco Filippi decostruisce tutti i luoghi comuni della vulgata che si ritrova sui social, alimentata forse più da troll e bot (ma c’è qualcuno che li genera) per invadere ogni possibile spazio e uccidere i tentativi di arginare l’invasione di ogni spazio, di portare la violenza tipica del fascismo anche in rete, in una lotta per affermare l’argomento, farlo diventare il tema, come lo è stato l’immigrazione.
Il problema in queste dispute è sempre il livello. Provare a controbattere alla raffica di battute e insulti con i solidi argomenti proposti da Filippi è inutile, perché i troll fanno in fretta a seppellire le buone intenzioni in un mare di insulti, che il più delle volte fa battere in ritirata chi prova a opporre argomenti razionali a proclami e frasi senza fondamento o palesemente falsi. Perché chi dice il falso spara ad alzo zero e non ha l’onere della prova, mentre chi controbatte si trova già in difesa, obbligato a dimostrare e per questo diventare prolisso.
La risposta non sarà mai un’ammissione di colpa o di torto, le discussioni sul web o sulle chat non sono mai riunioni amichevoli attorno a un focolare; la distanza fisica permette il ricorso all’insulto, all’allusione, all’intrusione nella privacy.
Rispondere alle menzogne
Quale risposta, allora, di fronte alla falsità dilagante? O si va a insulti, degenerando in cagnara e facendo il gioco dei fascisti, oppure credo che la cosa migliore sia controbattere caricando immagini delle atrocità fasciste, senza commento, al massimo con didascalie.
Bisognerebbe che l’ANPI o un’organizzazione antifascista carichi online un database con le riprese cinematografiche o le immagini delle atrocità nazifasciste, suddivise per argomenti e chiavi di ricerca (come ad esempio, shoah, e sottosezioni per i diversi campi di sterminio, oppure eccidi, incendi di paesi, bastonature delle squadracce).
Ci sarebbe un’infinità di materiale da caricare online. Immagini e video facilmente copiabili da immettere nei diversi blog per affondare qualsiasi tipo di propaganda e falsità attraverso immagini raccapriccianti ma vere. Certo, troveremo sempre i convinti che diranno: avevano fatto bene, bisognerebbe ricominciare. Ma i più se ne andrebbero, schifati dalla verità, e magari schiacciati dal senso di colpa. Vero è che bisogna essere attrezzati per sapere controbattere e allora qui viene in aiuto il libro di Filippi, perché fornisce gli strumenti per liquidare in una battuta una palese falsità
La forza di una propaganda martellante
Un giorno un giovane collega che si professa fascista mi dice che in Russia gli italiani si sono fatti onore, con la battaglia di Isbucenskij. Gli ho risposto che quella era una stupida battaglia di retroguardia, una carica di cavalleria contro un reparto di fanteria armato con fucili e mitragliatrici. Che senso aveva in un teatro di battaglia come quello andare alla carica a cavallo, il comandante con la spada sguainata?
Ma quel gesto ha scatenato la propaganda, vendendo l’affermazione in una scaramuccia come una vittoria campale, in grado di generare il retropensiero: se sono riusciti a battere i russi con la cavalleria, figuriamoci che sfracelli staranno facendo con le armi da fuoco. E soprattutto a mascherare come premio di consolazione la desolante ritirata dal fronte del Don, che aveva lasciato sul campo migliaia di vittime.
Questo è un episodio molto secondario di una guerra di giganti come quella combattuta sul territorio sovietico ed è sintomatico di come la propaganda di oltre settant’anni fa ancora giri in rete e influenzi i ventenni di oggi. Alla stessa maniera in rete emergono tutti i cascami che da anni sentiamo ripetere nelle conversazioni da bar: le bonifiche delle paludi, che erano tuti lavori già iniziati dai governi dell’Italia liberale; il sistema pensionistico, anche questo avviato nell’Italia giolittiana. Una creazione fascista originale di sicuro successo che verrà replicata nel dopoguerra è la creazione di enti in cui collocare i fedelissimi: spesso inutili e inventati con scopi mai perseguiti, da riempire di camicie nere, avanguardisti, arditi che avevano partecipato alla Marcia su Roma, famigli, amici e raccomandati.
Bene ha fatto il gruppo di Repubblica a fare uscire il libro di Filippi assieme al giornale, così da dare a più persone possibile gli strumenti per controbattere a falsità che si perpetuano dagli anni Venti e Trenta e non mancano di riproporsi a ogni generazione, attraverso la loro semplice ripetizione con ogni mezzo, secondo il semplice assunto che a furia di martellare, qualcosa rimarrà e che una menzogna ripetuta diventa infine una verità. Insomma, ci voleva proprio.
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