Enzo Traverso - Rivoluzione 1789 - 1989
Cos’è una rivoluzione? E’ un movimento che sovverte completamente lo stato delle cose presenti e comporta un cambio dei rapporti di potere, di proprietà e perfino di famiglia, come nel caso della Rivoluzione d’Ottobre. Comporta una sollevazione che spazza via le strutture preesistenti: governo, forze di polizia ed esercito, cioè i corpi che garantivano al regime precedente l’esercizio e la continuità del potere, uniti al controllo sulla popolazione.
Nel momento rivoluzionario questi rapporti saltano tutti insieme e prevale la volontà del popolo che si solleva con l’autoconvocazione e l’autorganizzazione ed è in grado di parlare con una sola voce. Memorabile è il racconto di Trotzky nella sua storia della rivoluzione russa quando racconta di un suo comizio al Soviet di Pietrogrado, dove non riesce quasi a parlare, in cui prova a prendere la parola e l’assemblea gli completa la frase, oppure è proprio il popolo che si esprime e lui ripete, quasi come parlasse sotto dettatura. Sono questi i momenti al culmine del processo, dove ogni ostacolo crolla come un castello di carte e sembra naturale quello che sta succedendo.
Una rivoluzione non è un semplice cambio di classe dirigente, dove una maggioranza sostituisce un’altra, con un intermezzo di violenza radicale, come vorrebbero i teorici delle elites, secondo cui tutto si riduce alla sostituzione di persone senza intaccare le fondamentali strutture del potere.
La rivoluzione non è un cambio di classe dirigente
Non è così, ci ricorda Traverso, perché una rivoluzione comporta il completo cambio di equilibri e di assetti. Con lo sviluppo dell’istruzione e dell’industrializzazione forzata (attuata anche attraverso il sistema dei gulag) in Unione Sovietica davvero i figli di operai e contadini potevano diventare generali d’armata, segretari di partito, dirigenti industriali o professori universitari.
La vecchia elite di grandi aristocratici che ruotavano attorno alla corte degli zar, dotati di immense proprietà terriere, coltivate da contadini in regime di mezzadria, era un’altra cosa perché era parte della struttura di un regime che si era dissolto nella Rivoluzione del 1917 e che era stato cancellato dal nuovo regime sovietico. Questo aveva comportato anche l’eliminazione fisica degli zar (così com’era successo per Luigi XVI) o l’esilio dei membri dell’aristocrazia dopo che il nuovo regime gli aveva confiscato tutte le proprietà.
Soltanto questo dovrebbe far capire bene quali siano le fondamentali differenze fra il comunismo sovietico e i fascismi in Europa negli anni Venti e Trenta che non a caso sono nati proprio per combattere l’URSS.
Le origini dei fascismi
Tutto questo per distinguere quanto molta storiografia liberale ha messo sotto la stessa etichetta di totalitarismi, accomunando fascismo e i comunismo all’interno di un unico quadro di società dominate dallo Stato, che si occupa di controllare i propri cittadini e di renderli docili ed entusiasti con la manipolazione del consenso e attraverso l’eliminazione degli avversari politici, il controllo dei media, la revisione dei programmi scolastici e con politiche estere di conquista.
Ma i fascismi non sovvertono un bel niente, ci dice Traverso, perché nascono in reazione ai movimenti di emancipazione delle classi subalterne (uomini e donne), per la difesa delle attuali e vecchie classi dominanti e per ribadire in maniera dapprima brutale e poi con leggi ad hoc i preesistenti poteri e privilegi.
I fascismi discendono dalla Restaurazione, esaltano il mito della purezza razziale e della supremazia maschile, mentre il comunismo ha promosso la lotta anticoloniale e – almeno agli inizi – è stato il più grande movimento di liberazione femminile, che ha ispirato le lotte negli altri paesi per i successivi settant’anni.
Il nocciolo
Il nocciolo di Rivoluzione è la critica di Rosa Luxemburg all’Ottobre di Lenin e Trotzski, con la loro ostilità alla democrazia e la trasformazione della dittatura di classe in dittatura di partito:
Non siamo mai stati fanatici della democrazia formale – scrive Luxemburg – significa soltanto: noi abbiamo sempre distinto il nocciolo sociale della forma politica della democrazia borghese, abbiamo sempre svelato l’amaro nocciolo della disuguaglianza e della soggezione sociale sotto la dolce scorza dell’uguaglianza e della libertà formali – non per ributtarle, ma per spronare la classe operaia a non ritenersi soddisfatta della buccia; a conquistarsi piuttosto il potere politico per riempirlo di un nuovo contenuto sociale. E’ compito storico del proletariato, una volta giunto al potere, creare al posto della democrazia borghese una democrazia socialista, non abolire ogni democrazia (pag 322 del testo)
E ancora, concludendo, la democrazia proletaria
consiste nel modo di applicare la democrazia, non nella sua abolizione.
Mentre la libertà
è sempre unicamente libertà di chi la pensa diversamente
Quale che fosse questo modo, la storia non ci è mai arrivata, se non per brevi periodi, in ambiti limitati, in cui le masse protagoniste sono state costrette ad affrontare circostanze cogenti (si pensi alla Comune di Parigi, cioè al mito che ha permeato i rivoluzionari di tutto il mondo).
Le forze della reazione, dalle potenze aristocratiche europee che, durante la Rivoluzione francese, volevano soffocare questo nuovo soggetto disposto a tutto pur di sopravvivere, passando per le cannonate prussiane su Parigi nel 1871, con la benedizione della borghesia trionfante sotto Napoleone III e temporaneamente messa in rotta dalla Comune, fino all’avvento dei fascismi, nati per ribadire con la violenza quei privilegi di proprietà e controllo, di disparità di ricchezze che la rivoluzione bolscevica e la Grande Guerra avevano messo in discussione.
Ovunque i fascismi si affermano per mantenere e rafforzare le vecchie differenze di classe – e lo fanno lottando con le classi subalterne, per impedirne l’emancipazione – in nome di un’indistinta sottomissione allo Stato e al grande capitale, dove le classi dominanti, le vecchie elite, si impongono con la forza e dove la mobilità sociale viene repressa da nuovi steccati.
La lettura di Rivoluzione serve a dimostrare tutto questo e a rivalutare un concetto che è stato rubato da altri ambiti: la rivoluzione tecnologica, le rivoluzione verde, tutti aggettivi che non spostano i rapporti di forza, ma che aggravano il costo di questi rivolgimenti sui più deboli, che siano immigrati e poveri nei paesi ricchi oppure le nazioni del terzo mondo.
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