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Marco D'Eramo - Dominio

Nella famosa e dissacrante Kill the Poor dei Dead Kennedys, pubblicata nella primavera 1980 nell’album Fresh Fruits for Rotting Vegetables c’è, in pochi versi, tutto il senso del lavoro di Marco D’Eramo, Dominio.
Efficiency and progress is ours once more
Now that we have the Neutron bomb
It’s nice and quick and clean and gets things done
Away with excess enemy
But no less value to property
No sense in war but perfect sense at home
The sun beams down on a brand new day
No more welfare tax to pay
Unsightly slums gone up in flashing light
Jobless millions whisked away
At last we have more room to play
All systems go to kill the poor tonight
Gonna kill kill kill kill kill the poor

And what if è l’ipotesi di partenza dei libri di fantascienza; e cosa succederebbe se – ad esempio – una bomba al neutrone uccidesse tutti? Beh, proprio tutti no; qualcuno più ricco e fortunato e meglio protetto dalle radiazioni, sopravvivrebbe. I primi versi sono agghiaccianti nella loro sintesi: L’efficienza e il progresso sono di nuovo dalla nostra parte / ora che abbiamo la bomba al Neutrone / è bella, veloce, pulita e mette le cose a posto / via il nemico in eccesso / ma resta il valore della proprietà / nessun senso in guerra, ma perfetto in patria. / Il sole splende su un nuovo giorno / senza tasse sul welfare da pagare / slums sgradevoli spazzati in un lampo accecante / milioni di disoccupati sbattuti via / alla fine abbiamo più spazio per giocare / tutti i sistemi uccideranno i poveri stanotte. Ritornello: andiamo a uccidere, uccidere, uccidere il povero

Chi sono i poveri

La definizione di povero è uno dei punti di partenza dell’analisi di D’Eramo, che racconta come Friedrich Hayek, il capostipite della Scuola di Chicago, arriva a definire i poveri come coloro che hanno un reddito al di sotto di una certa soglia, le cui condizioni vanno alleviate mediante la concessione di voucher con i quali possono comprarsi ciò che vogliono. In se l’idea è affascinante e utile, ma la trappola è che questo escamotage è stato usato come grimaldello per demolire l’intero edificio dello stato sociale.
Il concetto è che dev’essere l’individuo o la famiglia a poter scegliere quale servizio fruire in un mercato aperto attraverso lo stesso sistema dei voucher elargiti dallo Stato, dalla scuola alla sanità. E questo implica lo smantellamento del sistema del welfare in favore di un sistema completamente privatizzato oppure misto, come sta accadendo in Lombardia per la sanità e anche per la scuola, ma anche in Liguria o Piemonte (non a caso tutte amministrate dal centro destra).
Nella sanità lo svuotamento delle strutture pubbliche che vengono appositamente rese inefficienti, a vantaggio di quelle private, ha avvantaggiato interi settori come l’ortopedia e la diagnostica di base (raggi X, TAC, analisi del sangue e delle urine, etc.) che sono di fatto privatizzati. Il meccanismo è molto semplice: si telefona al Centro Unico di Prenotazione CUP per prendere appuntamento e la risposta è sempre che per quelle lastre il primo posto disponibile è fra tre mesi in un ospedale a trenta o cinquanta chilometri da casa. Così il cittadino diventa cliente di una struttura privata che da appuntamento l’indomani e il costo è lo stesso che chiederebbe la struttura pubblica tre mesi più tardi. Dopo un paio di tentativi presso il CUP in diversi periodi, il cliente, non più cittadino, chiama direttamente la struttura privata – e il gioco è fatto.
Questa è l’ultima dimostrazione di quanto racconta D’Eramo sul sistema perverso nato negli Stati Uniti dopo decenni di sovvenzioni delle fondazioni di destra americane finanziate da alcuni magnati del Midwest (in tutto cinque famiglie, fra cui spiccano i fratelli Koch, il cui giro di affari delle loro attività è di 9100 miliardi di dollari, ovvero quasi pari al PIL sommato di Germania, Francia e Italia pari a 9300 miliardi di dollari) che hanno infiltrato università, scuole, parlamenti statali, Corti di giustizia a ogni livello. Che hanno cambiato il diritto societario e stravolto l’assetto sociale costruendo un’autorappresentazione che è diventata paradigmatica.

Il neoliberismo non è liberale

Lo schema del vecchio liberalismo, si spiega D’Eramo, era quello ideale (e irrealizzabile) del libero mercato, ovvero dell’incontro paritetico fra domanda e offerta, in cui veniva determinato il giusto prezzo fra acquirente e venditore; e questo processo portava alla formazione del massimo bene comune. L’idea neoliberista prende avvio dal concetto di concorrenza, ovvero la vittoria del più forte, inserito in un quadro normativo minimo in modo da fornire all’impresa un ventaglio di possibilità altrimenti precluse. In questo modo nascono nuovi monopoli e si rafforzano quelli esistenti che possono agire come meglio credono per massimizzare i loro profitti, in una società in cui i diritti dei lavoratori sono stati erosi o cancellati e lo stato sociale reso futile, svuotato di fondi a vantaggio di imprese e istituzioni private che, al pari delle fondazioni (esentate dalle tasse), utilizzano fondi pubblici in una rapina sistematica e legale, attraverso il sistema delle convenzioni.
Si arriva a questo perché in politica gli eletti sono in gran parte persone convinte dalle nuove idee neoliberiste e che per ideologia e interesse personale si adoperano affinché le convenzioni vadano in porto. Il passaggio come stagista o studente in una di queste fondazioni – spiega D’Eramo – garantisce carriere in ascesa, passando dall’avvocatura alla politica, ai consigli di amministrazione di università o think tanks in una girandola di posizioni che vengono garantite a chi ha operato in ossequio agli ordini che arrivano dalle fondazioni e in ultima analisi dal pugno di multimiliardari del Midwest, a volte coadiuvati da altre fondazioni.
Ma il discorso è complesso, perché è la stessa fondazione ad essere variata nei suoi scopi. Gli scopi benefici puri per cui erano nate vengono messi da parte e oggi solo il dieci per cento del bilancio di una fondazione deriva da donazioni, mentre il resto arriva da profitti, che non vengono tassati, per cui, tecnicamente, è il pubblico che finanzia questi istituti il cui scopo è demolire lo Stato sociale.
Ma il concetto di concorrenza ha cambiato anche l’autorappresentazione dell’individuo, non più cittadino ma, come è stato molte volte detto, imprenditore di se stesso; ovvero considerando il proprio corpo, intelligenza e capacità come il proprio capitale da vendere al miglior offerente. Portando il discorso alle estreme conseguenze, uno di questi autori ascrivibili ai Chicago Boys, arriva a teorizzare la vendita della propria libertà per entrare in schiavitù del proprio acquirente.

Trasvalutazione dei valori e neolingua

E’ la trasvalutazione dei valori, cara a Nietzsche ma anche a Orwell, come fa notare D’Eramo prendendo ad esempio il suo 1984, laddove il Ministero della Pace si occupa della Guerra, chi propaga le menzogne del regime è il Ministero della Verità e così via. Allo stesso modo coloro che nel loro pensiero mostrano di credere alla libertà come massimo valore e forza trainante dell’esistenza, alla quale sottrarre qualsiasi vincolo, finiscono per generare il contrario di quello che predicano, e le simpatie dei neocon per tutti i regimi autoritari nel mondo stanno a dimostrare l’attrazione irresistibile che i fascismi esercitano su questi autori e su coloro che li finanziano.
In un mondo dominato da regimi autoritari gli scholars delle scuole di pensiero neoconservatrici hanno una pericolosa fascinazione per il loro Trump, ma anche per Bolsonaro, Duterte, Putin, Erdogan, Orban, Modi e Xi Jing Ping. Quest’ultimo poi, anche se è il nemico da battere perché è il nuovo impero nascente, rappresenta tuttavia un modello da seguire, perché accomuna il peggio del capitalismo con il controllo del partito unico, un obiettivo abbastanza distante dagli standard americani, ma che suscita invidia e ammirazione.
Non rimane che accontentarsi di succedanei, come il modello di Singapore, espressione del puro capitalismo in un micro Stato controllato da una sola famiglia dai tempi dell’indipendenza dal Regno Unito.
Il Giappone, che potrebbe sembrare un modello di efficienza simile a Singapore, sotto l’eterno partito liberaldemocratico, viene tenuto a distanza, con la sua tendenza a mantenere un alto livello di pubblico impiego. In ogni caso, la trentennale guerra che le classi dominanti hanno condotto contro le classi dominate è stata vinta, perché i dominati hanno interiorizzato la sconfitta e rinunciato preventivamente alla rivalsa.
L’uso distorto di alcune parole, ci dice D’Eramo, è sintomatico dello sconforto dei dominati. La parola riforma, ad esempio, fino a qualche decennio fa rappresentava l’avanzamento delle classi subalterne verso un maggiore benessere, mentre oggi questa parola mette paura, perché l’applicazione di una riforma sottende sempre a un impoverimento, dal taglio delle pensioni, alla spesa sociale, al taglio di posti di lavoro nel settore pubblico. E questo – ci spiegano dall’alto – per far fronte a un debito che non si estinguerà mai.

Mai sprecare una crisi

La crisi generata dal Covid-19 è solo l’ultima realizzazione di un comandamento dell’ideologia neocon: “mai sprecare una crisi”. Con il debito pubblico italiano al 160 per cento, non avremo mai la possibilità come paese di riuscire a ripagare, saremo sempre alla mercé di una delle tre agenzie di rating; pochi analisti che da qualche ufficio di Londra o New York decideranno se i nostri salari, pensioni, assistenza sanitaria dovranno restare uguali oppure sparire.
Altra caratteristica dell’ideologia neocon è l’assenza di futuro, la sua cancellazione. Ogni azione dettata da algoritmi di Borsa decide in pochi secondi del destino di fortune e imperi che possono trascinare migliaia di persone e interi Paesi nel baratro. L’ideologia neocon riesce ad assoggettare popoli e Stati con questa deterrenza: o mi obbedisci, oppure ti rovino; quindi la scelta, come spesso accade nelle ultime elezioni, è sempre fra il peggio e il meno peggio. E il meno peggio, guarda caso, è proprio obbedire a chi dice di saperne di più.
A tutto questo ribellarsi è giusto, ci dice D’Eramo, con ogni mezzo necessario, perché è dalle rivoluzioni che sono migliorate le condizioni di vita e sono cambiate le prospettive di tutta l’umanità e bisogna ben valutare anche le violenze che le rivoluzioni hanno generato, per cui i cosiddetti Terrori erano il seguito di violenze controrivoluzionarie (la Vandea).
Il merito del lavoro di Marco D’Eramo è quello di affermare che dietro alle nostre paure: di perdere il posto di lavoro, di impoverirci, del clima che cambia in peggio, del futuro dei nostri figli che prevediamo peggiore del presente, di quel senso di sottile ansia che ci prende per aver fatto solo un’ora di straordinario – dietro a tutto questo ci sono delle persone che hanno combattuto contro i dominati fino a farci credere che tutte queste paure sono angosce naturali, che così va il mondo e non possiamo farci niente.

I forti hanno vinto

Ebbene si: ci sono dei nomi e delle organizzazioni che da almeno cinquant’anni lottano per far prevalere le ragioni dei dominanti sui dominati, per far apparire i primi come vittime e i secondi come pericolosi cascami di regimi comunisti dissoltisi trent’anni fa. L’ideologia della concorrenza è la giustificazione per la vittoria del più forte come fondamento dell’esistenza, che seleziona i migliori secondo un darwinismo perverso che dovrebbe funzionare per la società come per i tempi lunghi dell’evoluzione.
Questo modo disinvolto e falso di trasferire concetti in ambiti diversi è profondamente disonesto, ci dice D’Eramo e lo fa nel modo più completo che mi è capitato di leggere, perché demolisce sia i presupposti che le conseguenze dell’ideologia neocon. Le pubblicazioni contro la globalizzazione, le diseguaglianze hanno prodotto lavori importanti sia dal punto di vista più sociologico (Naomi Klein) che scientifico (Piketty), ma nessuno ha raggiunto l’incisività di D’Eramo, che è documentato in un lavoro di anni sui testi prodotti dagli economisti e filosofi neoconservatori. E’ una delle menti migliori che abbiamo, teniamocelo stretto.