Emanuel Carrére - Il Regno
Il libro di Carrere è un’indagine, ovvero cercare di capire come abbia fatto una piccola setta nata ai margini dell’Impero Romano a diventare religione ufficiale e dominante, a inserirsi all’interno della vita dell’Impero, a diventarne parte integrante dopo due secoli, ad aver resistito alle persecuzioni dello stesso Impero, ma anche degli stessi Ebrei. Si può dire che, attraverso la storia di Paolo raccontata da Luca negli Atti degli Apostoli e nel suo Vangelo, il cristianesimo si sia vaccinato, abbia acquistato una sua forma di resilienza, riuscendo a sopravvivere per molto tempo in un ambiente ostile. Anzi, a germogliare da una religione esistente e a diventarne autonomo.
Paolo di Tarso il protagonista
Protagonista di questo parto faticoso è Paolo: un duro, come poteva esserlo Gesù, soltanto che Cristo ci appare mascherato da agnello, da tollerante e permissivo. Questa faccia buona è il grimaldello che convince gli ellenizzati a diventare cristiani. E questa è la prima vera novità, cioè che il nuovo credo non è riservato ai soli ebrei, ma si rivolge a tutti gli uomini. E’ quello che dice Gesù nel suo discorso “Beati gli ultimi della Terra”, in sé già rivoluzionario, ma la cosa non è chiara fino a quando Paolo non la mette in pratica.
Quelli che restano dopo la morte di Gesù, la cosiddetta Chiesa di Gerusalemme, sono tutti ex discepoli ebrei di Galilea, contadini e pescatori ignoranti, provenienti da una provincia periferica di Israele, a sua volta ai margini dell’Impero. Sono ebrei che continuano a seguire i precetti dell’ebraismo, che frequentano la sinagoga e non vedono motivo per cui il nuovo culto debba differenziarsi dalle tradizioni, dalla Legge ebraica.
Paolo, che è ebreo ma nato a Tarso, in Siria, che è letterato, che ha studiato presso il più grande rabbino di Gerusalemme, è quello che potremmo definire un inquisitore. Agisce su mandato dei grandi sacerdoti, custodi del credo di Jahvè, per finire di estirpare sul nascere la mala pianta che sta crescendo in Israele, quella del credo predicato da Gesù di Nazareth. I rabbini lo hanno fatto crocifiggere dai Romani, ma i semi della predicazione hanno resistito alla morte del fondatore e sono stati trasmessi ai discepoli, che vanno eliminati.
E’ una faccenda di polizia interna allo Stato di Israele e alla religione ebraica, dove Stato di Israele, include anche le comunità ebraiche al di fuori della Giudea. Così Paolo viaggia verso Damasco, dove dovrà individuare ed estirpare una cellula della setta deviazionista. Quello che succede lungo la strada è noto e Paolo, dopo aver meditato, torna convertito e con il furore dei convertiti avvia una sua predicazione in Asia Minore, dove fonda comunità cristiane con le quali, nel corso della vita, si terrà in corrispondenza, inviando loro le Lettere che diventeranno la base del culto cristiano.
Fra due fuochi
Ma Paolo, essendo nato in Siria, è anche cittadino romano, cosa che i giudei ex discepoli non sono. Loro sono un popolo conquistato, Paolo vanta i privilegi del conquistatore e la cittadinanza romana in più di un’occasione lo salverà da giudizi e linciaggi che in varie città le comunità ebree ortodosse (nel senso di originali, non convertite al cristianesimo) fomentano contro di lui. Perché è questo quello che succede, ma Paolo deve fronteggiare diciamo il nemico esterno, cioè da un lato gli ebrei ortodossi, e dall’altro gli ebrei-cristiani, quelli che vivono principalmente a Gerusalemme, che però sono i custodi della tradizione appena nata. Il loro capo è Giacomo, nientemeno che il fratello di Gesù. Gli altri due sono Pietro, quello sulla cui pietra Gesù aveva detto che sarebbe stata edificata la sua chiesa, e il terzo era Giovanni, “il più amato” dallo stesso Gesù (ma pare che questo merito se lo sia attribuito da solo). Di fronte a questi pezzi da novanta ancora in vita, Paolo non era nessuno.
Infatti dopo qualche anno di predicazione in Asia Minore, dopo aver fondato diverse chiese, viene chiamato a rapporto a Gerusalemme. E lì succede qualcosa di poco chiaro: o Paolo è talmente bravo da convincere i capi che i princìpi che va predicando sono giusti, oppure travisa quelli che sono i patti. In ogni caso ne esce vivo (e questo non era scontato) e con la licenza auto attribuita di predicare ai margini dell’Impero. Ai capi rimane Gerusalemme e avranno Roma, ma Paolo mantiene tutte le altre chiese da lui fondate e potrà predicare ovunque; non avrà sempre successo: verso la fine della sua vita riesce ad andare in Spagna, ma non fonderà nessuna comunità. In Oriente invece riesce bene e converte al cristianesimo sia gli ebrei della diaspora (ellenizzati) che i locali.
La vicenda di Paolo continua durante e dopo la distruzione di Gerusalemme e la diaspora. In quel momento la fortuna è dalla sua parte: saranno gli ebrei a essere perseguitati nell’impero come popolo ribelle, mentre i cristiani possono distinguersi e affermare che loro non sono più ebrei.
Le persecuzioni verso i cristiani giungeranno poco dopo, ma il culto ha avuto modo di consolidarsi. La distruzione di Gerusalemme elimina il nemico interno, ovvero i custodi del messaggio originario di Gesù; lo stesso Pietro morirà a Roma, martire. Paolo sopravviverà perché cittadino romano, in una condizione di semilibertà, una sorta di arresti domiciliari, oppure obbligo di residenza.
La fortuna del nuovo culto e i dubbi di Carrere
Questa la storia di Paolo. Perché abbia avuto la fortuna che ha avuto, una setta minore nata da un predicatore ai margini dell’impero è qualcosa che deve essere spiegata. Gesù esalta gli ultimi. Beati gli ultimi perché saranno i primi: ma non solo gli schiavi, ma pure i delinquenti, i peggiori.
Nella parabola del figliol prodigo, ci ricorda Carrere, il secondogenito dilapida le ricchezze del padre, mentre il primogenito prosegue a coltivare la terra e a obbedire agli ordini del padre.
Quando torna il secondogenito, spiantato e senza un soldo, il padre lo accoglie come un eroe. E’ ritornato a casa; la pecorella smarrita è rientrata all’ovile e il pastore sarà più lieto per quella pecora ritrovata che per le altre novantanove rimaste nel gregge.
Questo – ci dice Carrere – è il lato positivo della storia. Ma che ne è dell’altro fratello? Quello che si è sempre comportato bene, che non ha preteso un soldo dell’eredità paterna e a cui non è stato dato neanche un capretto per festeggiare con gli amici? Perché questa disparità di trattamento? Perché il peggiore viene premiato e chi si è comportato bene viene castigato? Sono questi i dubbi che avevano assalito Carrere e che lo avevano fatto tornare indietro dopo la conversione.
Non era riuscito a trovare una spiegazione e neanche in questo suo libro la trova. E’ l’ambiguità del cristianesimo con cui ci troviamo a fare i conti da due millenni. Sembra quasi che in un’inversione dei valori di tipo nitzscheano il più forte debba vincere e il più debole soccombere in silenzio. L’ambiguità del cristianesimo è che si presta a questa duplice lettura, e la seconda è poco edificante.
Il cristianesimo, come il comunismo, è fatto dagli uomini. E’ con il loro esempio, la loro condotta, il loro modo di relazionarsi con gli altri che ha fatto sì che il credo si diffondesse. Le prime comunità cristiane, trovandosi isolate e perseguitate, condividevano tutto. Si aiutavano l’un l’altro, come diceva il vangelo. A questo cristianesimo primitivo hanno sempre teso tutti i cristiani venuti dopo per dimostrare la bontà dell’istituzione, oppure per cercare di correggerla quando si era spinta troppo verso il mondo, l’avidità, la corruzione.
L’ambiguità e universalismo della Chiesa
E’ la stessa ambiguità che ci portiamo dietro ancora oggi, con una Chiesa che predica il ritorno alla povertà e alla solidarietà in un mondo dove la ricchezza è un valore, l’accumulo e l’ostentazione, la vanità e l’avidità non sono più considerati peccato, ma condotte da tenere per ottenere il successo.
Ma la Chiesa è stata per secoli il principale centro di potere, che ha trattenuto le ricchezze dei più a favore dei pochi e potenti, che le hanno spese in guerre e conquiste, benedette dalla croce, sempre a fianco della spada. Ora il braccio secolare è rappresentato dalla ricchezza mobiliare e immobiliare fatta da eredità, donazioni, otto per mille, offerte da tutto il mondo. E’ rappresentato dalle rigidità su aborto e divorzio. E’ rappresentata dall’ambiguità per cui Dio perdona tutti e ci si chiede se davvero proprio tutti devono essere perdonati, se con questo allora tutto sia lecito perché in fondo una scappatoia viene sempre offerta.
Dovremmo perdonare Hitler, Pol Pot, Stalin, Mao, Mussolini? La Chiesa sta con loro e anche con gli ultimi, i migranti nei barconi e i poveri nelle città del mondo, con i ladri, i pedofili, con la borghesia, i ceti medi e gli assassini seriali. Sta con i bianchi e i neri, gli orientali e il sud del mondo. Amore è il suo messaggio, ma è solo amore verso il prossimo e pretende di dettar legge all’interno del matrimonio, mentre i suoi soldati devono essere celibi, con tutte le conseguenze che questa repressione comporta.
Dal libro di Carrere si evince la tolleranza di questa religione, che si esplica nei vari racconti evangelici quando Gesù esorta a non tener conto alla lettera dei precetti e usi imposti dalla Torah e dalle tradizioni ebraiche. Se erano questi i presupposti che poi sarebbero sfociati nelle prime persecuzioni degli ebrei-ebrei verso i primi ebrei-cristiani, abbiamo già qui la prima aspirazione di universalismo, che in quanto tale deve tenere tutto.
La nuova religione non sarà per i soli ebrei, ma per tutti e quindi le usanze e la legge ebraica verranno lasciate cadere, ma questo non toglie che bisogna “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Ubi maior minor cessat, verrebbe da dire. Della legge ebraica si può fare a meno, perché intanto Israele è un paese conquistato e in pochi anni sarebbe anche sparito come nazione, ma non della legge dei vincitori, di quelli che radono Israele al suolo e ne disperdono il popolo.
Come si tengono tutti questi opposti? Il cristianesimo si svilupperà su questi binari, come religione dell’ambiguità, come religione degli uomini scritta dagli uomini, senza nessun dio a dettare o a rivelare attraverso cespugli ardenti. E’ uno sforzo inutile: ogni frase che si scrive sul cristianesimo si rivela un ossimoro, una statua di Giano con due modi inversi di lettura, uno per ogni fronte del dio.
Il vero mistero
E’ questo, infine, il vero mistero. Non l’esistenza o meno di essere supremo, ma la fondamentale ingiustizia con cui si riserva di governare questo mondo. Non è un dio che crea il dubbio perché – come dicono in molti – permette il perpetuarsi di ingiustizie in questo mondo.
Il dubbio viene ancora prima, perché non può esserci un dio che dice di premiare gli ultimi e abbandonare o non preoccuparsi del resto; un dio opportunista secondo cui le leggi degli infedeli vanno disattese, ma bisogna seguire quella del più forte.
La spinta fortissima e rivoluzionaria proveniente dalla prima predicazione di un profeta palestinese ai tempi di Augusto, “ama il prossimo tuo come te stesso” e “beati gli ultimi perché saranno i primi” si presta a interpretazioni opposte. Chi sono gli ultimi? Sono i poveri, gli oppressi? Oppure – in una scala discendente di valori – sono coloro che uccidono, rubano, stuprano, accumulano ricchezze sottraendole agli altri? Sono ultimi anche gli assassini, i mafiosi, i pedofili? Come tenere tutto assieme?
Se riconosciamo la bassezza dell’essere umano, il suo opportunismo nelle varie situazioni, come possiamo pretendere che l’essere umano sia fatto di sola misericordia? E soprattutto: è giusto essere sempre misericordiosi e perdonare qualunque delitto? Il Regno è stato scritto da Carrere per chiarirsi gli ultimi dubbi e si chiude con queste domande, che (non) si rispondono da sole.