Bruce Conforth and Gayle Dean Wardlow - Up Jumped the Devil
Up Jumped the Devil è la storia della vita e carriera di Robert Johnson, considerato l’inventore dell’attuale blues moderno, ovvero la persona che permise a questo genere nato nel Delta del Mississippi e sviluppatosi con l’emigrazione nera all’interno degli Stati Uniti in altri luoghi come Chicago e Saint Louis, di diventare la base seminale su ci si è sviluppata tutta la musica contemporanea. Ogni genere pop o rock è in qualche misura debitore del blues, e tutto è nato in gran parte da quelle ventinove tracce registrate da Johnson in Texas, riscoperte nel secondo dopoguerra e ripubblicate in più riprese da riluttanti case discografiche, ricredutesi dopo i volumi di vendita. La figura di Robert Johnson aveva tutte le caratteristiche per diventare un riferimento di culto: paternità incerta, abbandonato dalla madre, due mogli morte di cui una di parto e la seconda abbandonata da lui, un’altra donna mai sposata da cui ebbe un figlio, ma che rifiutò di sposarlo, perenne nomadismo da un paese all’altro, da una famiglia all’altra e sempre senza abbandonare i luoghi del Delta, vagabondando fra Mississippi, Arkansas e Louisiana.
Non voleva lavorare nei campi
C’era una cosa di cui Robert Johnson era assolutamente certo: non voleva lavorare nei campi e questo era un bel problema in una terra dove nascere nero significava fare quella vita fino all’ultimo respiro: negli anni Dieci e Venti del secolo scorso arare i campi significava farlo con il mulo o con un bue, e la raccolta del cotone era fatta a mano. RJ non riusciva ad accettare di annullarsi in una vita del genere; lo avrebbe fatto solo per amore, ma le circostanze, il destino o la sfortuna non lo permisero.
L’unica volta in cui aveva deciso di fare quella vita era stato quando si era innamorato di Virginia, la prima donna che aveva sposato e che, rimasta incinta, aveva deciso per motivi non chiari di andare a partorire dai genitori, in un altro villaggio a decine di chilometri dalla loro baracca (le case, dette shacks, erano fatte di assi di legno, lunghe circa sette metri e larghe quattro, con tetti in lamiera, e potevano ospitare famiglie numerose).
Fino a quel momento il demone di RJ non aveva ancora prevalso, perché poteva darsi benissimo che, con un figlio da crescere, RJ accettasse di lavorare nei campi per stare assieme a Virginia.
Sono tutte domande che vengono fatte ex post, ma cosa sarebbe successo se Virginia non avesse deciso di lasciare casa e marito per andare a partorire lontano? Potevano esserci motivi di ordine pratico (conoscenza della levatrice, vicinanza dei genitori che potevano aiutarla nei primi mesi), oppure anche una non detta sfiducia nel marito, una percepita non completa adeguatezza di lui al futuro ruolo di una vita cosiddetta stabile? Fatto sta che Robert, durante il viaggio verso il villaggio di Virginia per essere presente al momento del parto, fa diverse tappe per raccogliere qualche soldo suonando nei jukes lungo la strada.
Stop over at the jukes
I jukes erano qualcosa al confine fra il locale notturno, il ritrovo temporaneo di party casalinghi. I jukes potevano nascere all’interno di strutture che di giorno servivano ad altro, come gli spacci di paese, oppure in casa di qualcuno: erano feste e i neri ballavano al ritmo dei successi pop trasmessi alla radio e suonati da musicisti girovaghi, oppure del blues, la musica nata nei campi, per i contadini neri e i raccoglitori di cotone.
Quella era la vita che Robert aveva cominciato a fare prima di innamorarsi di Virginia e che solo per lei vi aveva rinunciato, accettando il duro lavoro nei campi che aveva rifiutato e a cui da giovane era stato costretto dai vari padri putativi, avuti durante le peregrinazioni di sua madre, dopo aver abbandonato Noah Johnson, il padre biologico che non avrebbe mai ritrovato. Robert era basso di statura, meno di un metro e settanta e aveva un occhio cadente, segno di malnutrizione nei primi anni di vita e la sua struttura era gracile, tutto lasciava intendere che non fosse destinato ai campi.
Il suo demone si era manifestato fin dall’infanzia, quando si era costruito uno strumento rudimentale legando una corda a due chiodi sulla parete esterna di casa, che veniva tesa arrotolandola a due bottiglie vuote. Era una cosa comune fra i bambini che all’epoca vivevano nelle baracche degli sharecroppers (mezzadri) del Delta. Con i primi spiccioli si era comprato una chitarra basica e aveva imparato a suonare l’armonica. Rubando qua e là, assorbendo dove poteva, era diventato un discreto – non eccellente – musicista, del tutto autodidatta, ma la sua capacità gli aveva dato quel tanto di consapevolezza da capire cosa avrebbe voluto fare da grande.
Mulattos
Robert Johnson e i suoi famigliari, all’anagrafe erano considerati mulattos, e questo significava che erano discendenti di neri liberi, arrivati nel Delta una o due generazioni prima dalla Virginia e dalla Carolina; si erano cioè trasferiti dall’Upper South al Lower South, perché nella prima metà dell’Ottocento il cotone si era rivelato più redditizio del caffè e aveva attirato manodopera da altri Stati. Per quanto contradditoria la cosa possa sembrare, prima della guerra civile americana, i neri liberi del Sud erano circa il doppio di quelli residenti al Nord (comunque una minoranza di circa 400 mila in mezzo a milioni di schiavi, contro i 200 mila del Nord).
Robert apparteneva a uno strato sociale liminare (così come ce lo descrive Simon Reynolds in Post Punk 1978-1984) perché era figlio di discendenti di famiglie già libere prima dell’abolizione della schiavitù e perciò portatori di una visione e un retaggio leggermente differente dai discendenti di schiavi, la cui ricaduta nella dipendenza della mezzadria era stata una continuazione della servitù. L’unica libertà concessa a un nero in quegli anni era di muoversi da un campo all’altro, cioè passare da un proprietario a un altro, senza cambiare la sua condizione, anche perché i termini dei contratti di mezzadria erano tali da obbligare a fare debiti per tirare avanti e questo nel migliore dei casi poteva scatenare la fuga del moroso per sfuggire alle ingiunzioni del padrone – bianco – della terra.
Il mezzadro, o sharecropper, nato contadino e cresciuto contadino, non poteva fare altro che continuare a fare l’unico mestiere che conosceva, ricadendo nel circolo di povertà e debito da cui non sarebbe mai uscito. La via d’uscita da quel circolo chiuso di servitù e vagabondaggio era quella di imparare un altro mestiere, diventare un artigiano, oppure andare a vivere in città o emigrare.
Religione e hoodoo
Il collante con la terra era la religione, costituita da un’ossatura cristiana su cui si innestavano credenze animistiche o voodoo (o hoodoo), che i neri vivevano senza contraddizioni. O meglio, un conflitto nasceva – ed è il caso della storia di Johnson – con la musica blues, considerata la musica del diavolo, più che altro per i legami materiali con i jukes, per i religiosi covi di vizio e alcoolismo che spesso sfociava in violenza, e per la stessa vita di chi con i jukes ci campava, cioè i tenutari (e tenutarie) e soprattutto i musicisti, che giravano da una città all’altra e da una donna all’altra.
Su queste evidenze di fatto si innestavano le credenze comuni alle religioni europee come a quelle africane, fra cui quella del patto con il Maligno. Un musicista blues, che fosse o meno posseduto dal diavolo, non era certo l’ideale di marito per una ragazza da sposare, men che meno per una famiglia religiosa. Questo era stato allora il destino di Robert con Virginia e lo sarà con Virgie, da cui avrà un figlio, ma che rifiuterà più volte di sposarlo. Insomma, pareva che per Robert non ci fosse scelta, se non continuare a suonare, portare a fondo il suo talento di musicista, ammaliare e sedurre una donna diversa ogni notte e abbandonarsi al consumo di alcool, perché anche quello faceva parte della sua paga. E’ una vita folle, la stessa che trent’anni dopo condurranno le rock star e che porteranno molti musicisti a finire in anticipo i loro giorni.
Tralascio le leggende urbane sulla morte di Johnson, tutte nate ex-post con l’invenzione del 27 Club, ovvero delle rockstar morte a 27 anni, che include, oltre a Johnson, anche Jim Morrison, Janis Joplin, Brian Jones, Kurt Cobain, Amy Winehouse o della Maledizione della J, che raggruppa gli stessi musicisti (a eccezione degli ultimi due), a cui si aggiunge John Bonham. Così come pure gli autori ridimensionano la leggenda del patto col diavolo, secondo cui RJ, allontanato da un juke per la sua magra performance (anche perché la serata era di altri due bluesmen e lui aveva suonato in un intermezzo), si ripresentò un anno dopo stupendo gli stessi due bluesmen e l’intero uditorio per il suo virtuosismo alla chitarra. Da qui nacquero le voci che si diffusero in un tam tam lungo tutto il Delta: RJ aveva stretto un patto con diavolo, vendendo la sua anima in cambio della capacità di suonare la chitarra meglio e come nessun altro.
Un nuovo modo di suonare la chitarra
L’innovazione di Johnson, quello che stupì i presenti quella sera, fu il fatto che era riuscito a suonare sia la parte di accompagnamento che quella solista usando un solo strumento. Ma quell’innovazione non nasceva dal nulla, perché in quell’anno di assenza, RJ aveva trovato un maestro in Ike Zimmermann.
Zimmermann abitava a Beauregard, vicino a Hazlehurst, il villaggio dov’era nato RJ e dove era tornato nell’infruttuosa ricerca del suo padre biologico. Da chi avesse imparato Zimmermann gli autori non lo dicono, ma pare che fosse un completo autodidatta. E sì, Zimmermann era abbastanza strano, perché si ritirava a suonare nel vicino cimitero, ed era fra le lapidi che aveva condotto RJ a suonare con lui, da mezzanotte in avanti. Sosteneva, non a torto, che quello fosse un luogo tranquillo dove potevano provare indisturbati.
Per quanto particolari fossero quelle circostanze, gli autori non trasferiscono la leggenda del crocicchio del diavolo su Zimmermann, che comunque pareva non essere interessato ne al successo, ne alla vita girovaga dei bluesmen del Delta. Aveva famiglia e quelle capacità sarebbero rimaste confinate nella vita domestica; Robert invece partì. Ike, come altri bluesmen, invecchiando si era convertito ed era diventato un ministro pentecostale. Era poi emigrato in California, finendo i suoi giorni a Compton ,LA, all’età di sessant’anni.
Zimmermann emerge come un figura totalmente disinteressata, che dona il meglio delle sue scoperte e capacità apparentemente al primo venuto; una figura più angelica che demoniaca. Secondo i suoi discendenti, alcune canzoni attribuite a Johnson, come Rambing On My Mind, sono in realtà di Zimmermann, mentre altre come Dust My Broom e Come On In My Kitchen erano state composte assieme da Johnson e Zimmermann.
Nel ritratto di Johnson emerge anche il suo lato opportunista e privo di scrupoli. Senza voler dar peso alle voci dei discendenti di Zimmermann, gli autori raccontano del secondo matrimonio, contratto solo per far ingelosire la donna che davvero lo interessava, Virgie. Con la nuova moglie e i figli di lei ripartì nei suoi giri a suonare per locali, fino a quando non cadde malata, ma lui si era già allontanato, lasciandola sola.
Robert Johnson morì per avvelenamento, perpetrato dal marito di una donna sposata con cui lui aveva una relazione, in uno dei tanti jukes dove si fermava a suonare; l’episodio, nei particolari, racconta della sua eccessiva sfrontatezza.
Vittima del suo mito?
Robert Johnson sembra essere stato vittima della sua stessa hybris: inebriato dal successo di aver pubblicato dischi, di esser conosciuto, di poter prendere le donne che desiderava apparentemente senza pagare nessun prezzo, benvoluto e apprezzato per la sua musica, pareva non gli mancasse nulla e soprattutto poteva aver creduto alla leggenda su di lui e cioè di potersi permettere qualsiasi sfrenatezza, di fare qualunque torto e di uscirne vincitore o indenne.
La vita di RJ era tutta fondata sull’ambiguità, cantata e propagandata nelle sue stesse canzoni, nei cui testi dava adito alla sua leggenda di mercimonio col diavolo. Come che sia, la biografia di RJ di Conforth e Warlow è davvero l’ultima e definitiva, basata su tutti i documenti ufficiali disponibili e su tutte le testimonianze delle persone in vita (oppure loro diretti discendenti) che hanno avuto un ruolo nella sua vita. Da loro gli autori hanno avuto foto, riguardanti non solo le persone, ma pure i luoghi dove RJ aveva suonato, i paesaggi in cui aveva vissuto, mentre dagli archivi locali hanno riprodotto le mappe topografiche e catastali degli shacks in cui vivevano le loro famiglie, di cui era stato ospite.
Una simile abbondanza di fonti rinvenute è il frutto di una vita di ricerche ed è storia orale, etnografica, della musica e del costume assieme, un’opera che partiva da pochi elementi: una raccolta di ventinove canzoni di Robert Johnson, una foto in bianco e nero e una leggenda da verificare. Bruce Conforth (70 anni) e Gayle Dean Wardlow (80 anni) ci hanno messo una vita e Up Jumped the Devil è la somma dei loro sforzi: nulla è stato lasciato al caso e nulla di quanto raccontato è superfluo o ridondante.
Commenti recenti