Antonio Scurati - M il figlio del secolo
M di Antonio Scurati è storia nel suo farsi, con tutte le opzioni possibili sul piatto, ma con la comprensione dei fenomeni che abbiamo quando questi sono già avvenuti e li guardiamo in prospettiva. Non si può scappare dalla storia, questo è il limite che Scurati si da e avverte il lettore di questo all’inizio:
Fatti e personaggi di questo romanzo non sono frutto della fantasia dell’autore. Al contrario ogni singolo accadimento, personaggio, dialogo o discorso qui narrato è storicamente documentato e/o autorevolmente testimoniato da più di una fonte. Detto ciò, resta pur vero che la storia è un’invenzione cui la realtà arreca i propri materiali. Non arbitraria, però.
La storia, quindi, non è un’invenzione arbitraria, ma è pur sempre un’invenzione. La storia, dicono gli storici, non è una scienza esatta e non potrebbe esserlo, perché l’unica verità che può emergere e mettere d’accordo è quella che emerge dal raffronto delle fonti, cosa che può essere fatta nel periodo considerato, ovvero cent’anni fa. Quello che viene fuori non è un’equazione, per cui dati alcuni presupposti, ne deriva con certezza un risultato certo e prevedibile.
Come i rivoluzionari comunisti arrivati al potere, che guardano dall’alto in basso i partiti socialisti in occidente e li irridono: ma come – fanno capire – noi abbiamo istituito la dittatura del proletariato partendo dalla minoranza di un partito, quello bolscevico, che era minoranza nel partito socialista rivoluzionario, che rappresentava a sua volta una minoranza, gli operai, concentrati perlopiù nelle due capitali, Mosca e Pietrogrado e voi, socialisti italiani, che avete vinto le elezioni, che siete organizzati sul territorio in leghe e camere del lavoro, come fate a non passare alla presa del potere?
La debolezza di fondo dei socialisti
Solo chi è stato socialista e rivoluzionario dentro a quel partito italiano che alle elezioni del 1919 è il primo partito italiano con 156 seggi in Parlamento può sapere che quei socialisti non saranno mai capaci di arrivare fino in fondo. L’Italia è uscita dalla guerra e non ha ancora smobilitato, ha ancora forze ingenti per schiacciare le insurrezioni e i dirigenti socialisti non hanno fiducia che i soldati del re possano disobbedire ai loro comandanti e permettere la presa del potere. I dirigenti socialisti non arrivano neanche a ipotizzare una cosa del genere. I dirigenti socialisti, Mussolini lo sa, non arrivano neanche lontanamente a pensare all’uso della violenza per prendere il potere, non hanno idea di come rivolgersi alla truppa, che pure è fatta di contadini e di operai, perché non hanno capito che in Italia in quel momento il solo modo di prendere il potere è farlo con la forza, ed è quello che Mussolini ha capito e farà.
Da un lato una dirigenza socialista tricefala, dall’altro un giocatore opportunista, un traditore con il fiuto politico della mossa successiva, con una visione abbastanza ampia da prevedere quello che succederà e attrezzarsi di conseguenza. Verrebbe da dire che M incarna il vero animale politico di Macchiavelli, ovvero colui che fa qualsiasi cosa per raggiungere il potere, disinteressandosi di quanto ha detto o fatto poco prima, se non rientra nei suoi scopi.
Ma, dirà qualcuno, se bastasse questo per arrivare al successo, l’ascensore verso l’alto sarebbe troppo affollato: chi non è capace a usare con sufficiente discernimento il cinismo e l’ideale, la lotta di tutti con l’affermazione personale, il passaggio da una posizione all’altra? In tanti sarebbero capaci, ma tutti naufragherebbero alla seconda o terza giravolta. Cos’è invece che ha consentito a M di resistere anche nei momenti più bui, quelli dopo la fondazione dei Fasci di Combattimento in piazza Sansepolcro e dopo le elezioni in cui i fascisti non raccolsero un seggio? Il fatto di muoversi e comportarsi come un capo e questo significa avere attorno gente disposta a morire per lui; a sua volta il capo fa capire di essere disposto a sacrificare la vita per coprire o proteggere i suoi, perché questa è la logica del branco, anche se Mussolini non esiterà a lanciare nel 1940 gli italiani al massacro in una guerra in cui sapeva di entrare largamente impreparato e debole. Non solo: M fin da subito, da sempre, disprezza gli italiani, popolo di cialtroni capace di abbaiare alla luna, urlare alla rivoluzione per poi sedersi a tavola a mangiare un piatto di lenticchie. Lui lo sa, gioca sulla debolezza e riesce a tirare fuori il peggio: quel miscuglio di risentimento verso tutto e violenza repressa che porta i borghesi piccoli piccoli a sganciarsi dal sogno di una rivoluzione sociale cui avevano aderito forse per opportunismo e paura, per diventare odiatori – ci spiega Scurati – ovvero forti con i deboli e deboli con i forti.
Quella massa grigia
La massa grigia che nessuno calcolava, nemmeno M all’inizio, all’improvviso si sveglia e riconosce il capo, l’uomo forte, colui che è dietro ai massacri di Bologna e Ferrara, che provocando la violenza e scatenando il panico con pochi uomini armati e decisi ha seminato il terrore nella piazza emiliana (in gran parte perpetrato dalle stesse guardie rosse, che a Bologna lanciano bombe sui loro compagni scambiandoli per assalitori fascisti) ottenendo di rendere vittime le canaglie e soprattutto provocando le dimissioni del neoeletto sindaco socialista di Bologna. Da qui, dalla confusione nel campo avversario, dalla sua incapacità a combattere il vero nemico, parte il consenso, la scalata verso il successo, l’aumento esponenziale degli iscritti ai Fasci di Combattimento: non più ex galeotti diventati Arditi, ex combattenti fanatici della violenza, o canaglie in generale, ma arrivano al Fascio l’impiegato delle poste, il vetturino, l’artigiano, il negoziante, l’impiegato comunale, il bancario, il maestro di scuola, tutta quella zona grigia che all’improvviso capisce che può: non ci sarà nessuno a punire chi ha saccheggiato la camera del lavoro, ma chi ha incendiato i fienili durante gli scioperi contadini della Bassa troverà sempre il carabiniere che lo arresta o lo squadrista che manganella, impunito.
Il ruolo dello Stato
Qui bisogna introdurre un elemento nuovo, qualcosa che prima di allora non era visibile e cioè il ruolo dello Stato, quello che potremmo definire l’ossatura dello Stato, fatto dai suoi funzionari di polizia e di Governo – prefetti e questori – sia a livello centrale che periferico, che fin dalla nascita dei Fasci di Combattimento entrano in relazione con M, stringono patti che riguardano la repressione violenta del movimento operaio e socialista da parte delle formazioni fasciste in cambio di copertura e impunità. Si accorgono di questo e sicuramente sollecitano questo tipo di azioni i grandi industriali, con cui M è in stretto contatto fin da subito. M in quel momento, nel 1919/20, è il punto di congiunzione del “mondo di sopra e mondo di sotto” (secondo Carminati, boss incarcerato nell’inchiesta di Mafia Capitale): a lui fanno capo gli Arditi reduci dagli assalti alle trincee durante la guerra, che hanno avuto un ruolo fondamentale nella vittoria e a cui non è stato riconosciuto nulla e sarà l’esempio violento e impunito di questa canaglia che ha lo scontro nel sangue che attirerà la zona grigia nell’orbita del fascismo, che a questo punto si trasforma, perché estende l’uso e la giustificazione della violenza da pochi fanatici a una larga fetta della popolazione. Tutto questo avviene con lo Stato che ricopre il ruolo di levatrice, quello Stato profondo i cui vertici parlano con i vertici della grande industria, delle banche e dell’esercito, tutte figure che provengono dalla stessa, ristretta, classe sociale, che hanno fatto le stesse scuole superiori, frequentato le stesse università o accademie militari. Sono loro, assieme alla Corona, i veri responsabili della vittoria del fascismo e a loro volta si sono fascistizzati durante gli anni del regime.
La natura del fascismo: difendere i forti
In tanti, in troppi, per troppo tempo si sono interrogati sulla natura del fascismo, sul perché proprio in Italia è nato questo fenomeno nuovo, la guardia pretoriana che consente alle classi dominanti di restare al loro posto e mantenere intatti i privilegi e aumentare profitti e rendite. Un partito che all’inizio si definiva come anti-sistema, cioè contro: il fascismo nasce come un movimento anticapitalista, antisocialista, anticlericale e in poco tempo si trasforma. Il risultato, prevedibile fin da dall’inizio, è un partito politico di stampo militare e autoritario che difende i forti.
I forti riescono a diventare vittime, i morti ammazzati fascisti durante gli attacchi alle camere del lavoro diventano martiri, solo loro contano e le centinaia di contadini, operai, capilega, sindacalisti, semplici militanti socialisti e comunisti, prima umiliati davanti alle loro famiglie e ai loro concittadini, e poi torturati e ammazzati brutalmente non contano niente, non valgono una breve di cronaca.
A conti fatti, credo che non ci sia miglior modo per riconoscere o definire il fascismo di quanto contenuto ne Il fascismo eterno, in cui vengono elencate le caratteristiche per riconoscere il fascismo e – ci dice Eco – per riconoscere il fascismo, non è necessario che tutte le caratteristiche elencate debbano essere presenti in un determinato fenomeno o in una personalità, perché ne basta una per far capire.
E’ ben vero che il fascismo è un fatto così nuovo da cogliere i socialisti impreparati: la violenza è il discrimine, perché per la prima volta nella breve storia dell’Italia unita lo Stato cede l’uso della violenza di cui ogni Stato è il detentore unico; in qualche modo esternalizza quell’uso, tenta anche di definirne confini e raggio d’azione, offre la sua protezione agli abusi del fascismo rurale di Grandi, Balbo e Farinacci. Sembra un incidente, un uso della ragion pratica per sbrogliare una situazione complicata, lasciare allo stesso popolo il compito di reprimerlo, perché la repressione operata dallo Stato con i suoi apparati di polizia e militari in quel momento potrebbe portare a situazioni ingestibili. Per questo M nei suoi corsivi su Il Popolo, insiste sulla chirurgia della violenza, la stessa trovata propagandistica usata dalle forze americane per bombardare l’Iraq nella seconda guerra del Golfo. Niente nasce da niente, una volta uscita dal vaso di Pandora in cui era rinchiusa, l’idea germina e si diffonde lungo i canali della storia e lo stesso concetto si declina in contesti diversi, nel ’21 era servita per rassicurare i borghesi: vedete, noi fascisti picchiamo duro, ma solo in una direzione, con obiettivi precisi, siamo qui per proteggervi. Nella seconda Guerra del Golfo la retorica delle bombe intelligenti portava a credere che, una volta sganciati, i missili viaggiassero verso i loro target – esclusivamente militari, per carità – con un imperativo morale: annientare i cattivi e risparmiare i buoni.
L’appalto della violenza
Però quel passaggio dal monopolio della violenza dello Stato all’appalto a una terza forza è cruciale, in quel caso come in altri è stato dimostrato che a quel punto non è possibile tornare indietro; quella forza usata per mettere a posto le cose si presenterà a riscattare il suo premio da una posizione opposta a quella del postulante, cioè quella del mazziere che distribuisce le carte. E’ accaduto col fascismo, è accaduto col nazismo, è accaduto tutte le volte che un potere eletto democraticamente soggiace alla violenza, vuoi dei militari o di una loro fazione, vuoi di movimenti che nascono populisti, antisistema e che all’occorrenza si trasformano in organizzazioni militari che praticano la violenza a annientano ogni opposizione imprigionando, torturando, uccidendo.
Il fascismo usa “ogni mezzo necessario” (frase memorabile quanto inutile di Malcolm X, che non disponeva di tutti i mezzi necessari), si può permettere l’incoerenza, è nato “al di là” di bene o male, destra o sinistra. E’ quel gran vuoto e gran nulla che risucchia ogni cosa, parola o idea che possa essere utilizzata ai propri fini. Prende slogan come “Me ne frego” e canti come Giovinezza dai dannunziani e ne fa il proprio inno, prende le camicie nere dai lavoratori romagnoli
Fece in questa occasione (la marcia di 3000 fascisti su Ravenna) la sua grande prima comparsa, come divisa militare, la camicia nera, che era il costume ordinario del lavoratore di Romagna e che diventò la divisa del soldato della rivoluzione.
(Italo Balbo, Diario, 1922)
e ne fa la propria uniforme ufficiale. Il neofascismo del dopoguerra chiamerà Ordine Nuovo uno dei partiti dell’eversione di destra che culminerà – fra le altre – nelle stragi di piazza Fontana a Milano e piazza della Loggia a Brescia, lo stesso nome non a caso del giornale fondato e diretto da Antonio Gramsci negli anni in cui nasce il fascismo. Il fascismo si nutre di opposti: nella parabola da movimento violento e antisistema passa dalla violenza squadrista, ma chirurgica, passa dall’anticlericalismo originario del suo fondatore all’accordo con il Vaticano – quando il fascismo diventa istituzione – nei Patti Lateranensi del 1929, dopo aver convinto lo stesso Vaticano a espellere dal partito popolare il suo segretario antifascista, Luigi Sturzo. Passa anche da maestro a discepolo con chi, come Hitler, è cresciuto con l’esempio di M, ovvero il fascismo conserva gli stessi tratti che lo stesso M disprezzava nei borghesi, quelli di essere forti con i deboli e deboli con i forti.
Giocare al rialzo
E’ la stessa logica dei giocatore di poker, quella di giocare al rialzo, contando sul fatto che tutti gli altri siano così deboli da non opporsi in un testa a testa fino a scoprire le carte. M farà così fino al delitto Matteotti e da quel momento capirà che la strada verso la dittatura sarà spianata, fra gli applausi della Corona, dell’esercito e di quelli che verranno chiamati poteri forti, cioè industria, finanza, grandi proprietari e alti funzionari dello Stato. Il fascismo ha difeso i forti e i forti alla fine hanno vinto.
Altri nella storia della Repubblica, forse fidando sull’esempio del discorso di Mussolini alla Camera dopo il delitto Matteotti, hanno tentato il gioco al rialzo, spinti da un’eccessiva fiducia in se stessi, nella convinzione che i poteri che fino a quel momento li avevano sostenuti avrebbero coperto la loro posizione. Memorabile in questo senso il discorso di Craxi alle Camere, che avrebbe dovuto chiudere la vicenda Mani Pulite, ma che si protrasse fino al suo esilio in Tunisia per evitare l’arresto e che accelerò la fine del partito socialista, lo stesso che era stato annientato dal fascismo, risorto in clandestinità e accompagnato la storia italiana anche con riforme importanti (es. la nazionalizzazione dell’energia elettrica) durante i primi governi di centro-sinistra degli anni Sessanta del secolo scorso. Tutti i partiti, chi più chi meno, aveva sostenuto Craxi, ricorrono in maniera sistematica al finanziamento illecito (leggi corruzione), quindi ora voi che volete da me? Se cado io, mi andranno dietro tutti, questa era la sua posizione. Nei mesi successivi sparirono il PSI e la DC e il PCI cambiò nome, restando l’unica formazione della vecchia repubblica sostanzialmente intatta nella sua struttura, anche se profondamente cambiata nella vocazione.
Anche in quel caso, a metà anni Novanta, come nei primi anni Venti, bisognava impedire che le sinistre andassero al potere e venne fuori un altro uomo della provvidenza, Silvio Berlusconi, che non esitò ad allearsi con un partito neofascista per andare al potere. Anche in quel caso come nel ‘21/22, il terrore dei rossi fece leva sull’elettorato moderato, anche se non era in vista alcuna rivoluzione. La nemesi della storia italiana, ma forse di ogni paese (pensiamo a Trump arrivato dopo Obama) è quella della reazione che ogni volta la grande industria, la finanza e gli apparati dello Stato mettono in piedi ogniqualvolta la sinistra o i partiti loro eredi vanno al governo, a meno di non essere messi sotto controllo.
Allo stesso modo, alla stessa hybris si può ricondurre la decisione di Salvini di far cadere il governo con i 5 Stelle, convinto di essere abbastanza forte da andare alle elezioni e che non ci fosse altra alternativa: se è andata bene a M dopo il delitto Matteotti, perché non deve andar bene a me? Hanno pensato Craxi, Salvini e infine Renzi, con le sue manovre tese a prendere tempo, in attesa di potersi gettare sull’elettorato moderato, orfano di Berlusconi.
Il delitto Matteotti e l’analisi di Gramsci
In ogni caso, la storia di M fa male a leggersi, per la constatazione che la vittoria va ai peggiori, anche quando tutto sembra convergere verso la fine di un’esperienza che ha insanguinato l’Italia per un triennio: il delitto Matteotti, dove i nodi sembrano arrivare al pettine, in cui lo stesso M non è più così sicuro di riuscire a gestire gli eventi, teme la fine della sua parabola politica. Il delitto Matteotti chiude il libro ed è il vero spartiacque dell’avvento del regime fascista – che comunque in precedenza aveva proceduto a piccole spallate ma senza un disegno.
Se c’è qualcosa da imparare nel libro di Scurati è che la storia non è quel fenomeno ineluttabile che i posteri ricostruiscono: nel suo farsi tutte le possibilità sono ancora aperte. In quell’epoca erano i più determinati a vincere, quelli disposti a spingere l’acceleratore fino in fondo, a capire che si poteva fare. Se Hitler aveva seguito l’esempio di Mussolini, l’italiano a sua volta aveva guardato a Lenin. In tutti e due i casi – con fini opposti – una minoranza armata e organizzata aveva preso il potere, sfruttando con abilità le circostanze e qualche volta rischiando di perdere tutto, giocando una mano di carte alla cieca. La possibilità di perdere tutto, di perdere anche se stessi era una possibilità che queste persone si davano, incuranti delle migliaia o milioni di persone che si sarebbero trascinati dietro, in caso di sconfitta. E’ questa mentalità che, mantenuta nel dna originario una volta arrivati al potere, aveva portato queste persone e i suoi successori (pensiamo a Stalin) a sacrificare interi Paesi (l’Italia in guerra, la spedizione in Russia, la sconfitta in Libia, l’invasione angloamericana), popoli (ebrei e zingari con Hitler) e territori in nome di ambizioni personali o ideali traditi.
Gramsci aveva spiegato il fascismo attraverso il cesarismo, concetto già inventato dai francesi a proposito di Napoleone Bonaparte. Prendendo a prestito l’istituto romano della dittatura, in cui un uomo solo assumeva tutti i poteri, designato dal Senato e per un breve periodo limitato e definito, di solito con lo scopo di condurre una guerra in cui era in gioco l’esistenza della repubblica, era emersa nel tempo la figura di Cesare, come l’ultimo dei dittatori che, per prestigio, capacità, forza e consenso, aveva dominato la politica romana ben più di un passato dittatore e che era finito assassinato in nome di quelle libertà che – soprattutto da parte aristocratica – sarebbero venute a mancare con la sua permanenza al potere e la designazione di un eventuale successore. La strada per Ottaviano nella generazione successiva era già indicata e Cesare, secondo Gramsci, era l’espressione “del vecchio che non muore e del nuovo che non riesce ancora a nascere”. Ma, secondo il segretario comunista scrivendo i suoi Quaderni dal carcere, esisteva un cesarismo progressivo e uno conservatore, guardando ovviamente agli opposti esempi di Lenin e di Mussolini.
Gli effetti del cesarismo
In questa visione quello che dev’essere messo in discussione è il merito, ovvero la necessità storica per l’affermarsi di un cesare, i cui effetti sul governo di un popolo o di un impero sono nefasti perché l’affermazione di un potere assoluto da parte di una persona sola porta all’assenza di contrappesi e alla mancanza di eredi o di prospettive future. Prima di lui, il caos – vero o presunto, reale o inventato – che è chiamato a domare; dopo di lui, il nulla. Soprattutto la creazione di un ambiente attorno al nuovo cesare, di una corte dove vige il consenso unanime per lungo tempo, – per tutta la vita – porta al disturbo narcisistico di personalità. In poche parole, porta alla concezione di un “Sé grandioso”, disancorato da affetti e pronto all’ira e alla vendetta alla minima contrarietà, fino a disconoscere il fatto reale e a persistere in coazioni a ripetere distruttive in cui – purtroppo – a farne le spese sono gli altri, fra l’altro considerati con disprezzo dal narcisista.
Il cesarismo porta a questo. Non necessariamente Mussolini agli inizi, come ogni novello cesare, era per forza un narcisista anzi, al contrario, era perfettamente cosciente dei rapporti di forza e fino a dove avrebbe potuto spingersi. E’ la creazione di una corte, comune a tutti i tiranni, a far perdere la ragione ed è un tratto comune di noi umani quello di sentirci dare ragione sempre, comunque e senza contrasti ed è per questo motivo che bisogna impedire che un uomo diventi un cesare. Con questo non voglio dar ragione all’adagio giustificativo che M era una persona buona, ma circondata da canaglie, perché non è vero. M aveva messo in atto quei meccanismi comuni alla nostra specie, cioè di raggiungere una posizione sicura, che per lui come per molti corrisponde al dominio e da questa, attraverso l’uso sapiente di concessioni, terrore e minacce, tenere gli altri in soggezione. M anzi – nell’interpretazione di Scurati – riconosce il popolo come desideroso di essere comandato, voglioso di una guida cui affidare responsabilità e da cui essere curato, protetto e chi altri potrebbe fare meglio di lui? M si guarda attorno, e non vede nessun altro all’infuori di se stesso.
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