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Alessandro Barbero - I barbari

Ho letto Barbari di Alessandro Barbero convinto di trovare analogie, errori ed esempi positivi riflessi sulla contemporanea gestione dei flussi migratori. Cercavo e speravo di trovare un antidoto alle dichiarazioni e alle politiche di mezza Europa che sta tornando al fascismo. Quello che ho trovato è invece il modo di comportarsi dell’Impero nella gestione dei popoli sottomessi, dove la cittadinanza per lungo tempo era il miglior premio per una vita trascorsa sotto le armi a rischiare la vita e far trionfare le aquile lontane di Roma.
Quello era il salto: non più barbari indistinti, non più clan e tribù, ma membri dell’ecumene, dei popoli avanzati, liberi di trasferirsi ovunque nel vasto impero che rappresenta il mondo conosciuto e la cui conoscenza aumenta con l’estensione dei confini. Non c’è nulla fuori dall’impero, questo ci fanno percepire gli storici romani. Non c’è nulla anche quando l’impero si scontra (e perde, senza tuttavia cedere territorio o cadere) con altri imperi, come quello dei Parti o dei Persiani.

La camera di compensazione dell’impero romano

I barbari sono parte di questo disegno, inglobabili o escludibili a convenienza dai territori e dagli eserciti di confine. Le popolazioni possono venir respinte, integrate per ripopolare territori spopolati dopo epidemie, oppure sterminate se ritenute pericolose. Per secoli l’impero romano fa quello che vuole con i popoli al nord e al sud dei confini. Al nord recluta Goti, Pannoni, Reti. Al sud si allea o recluta cavalieri e arcieri Mauri o Numidi, a est assolda Daci che manda a sorvegliare i confini a nord della Britannia, in guarnigioni lungo il vallo Adriano.
E’ questa la potenza dell’Impero: riuscire a controllare masse di uomini e disporne secondo logiche di dominio e controllo, sorretti da un’ideologia di superiorità di civiltà, lingua, costumi, imparagonabile con nessuna cultura che proviene da fuori.
Dentro, l’impero è sincretico; una volta accettate le regole e pagati i tributi, forniti gli uomini per l’esercito, ognuno può commerciare con chi vuole e praticare il culto che preferisce. In questi trasferimenti di reparti barbarici in luoghi lontani da quelli di origine è presupposta l’esistenza di una estesa ed efficiente rete di strade che non solo convergono verso il centro, ma anche in grado di collegare periferia a periferia. Un rete di vie che portano eserciti dalla Britannia alla Mesopotamia, dall’Africa del Nord alla Pannonia.

I barbari usati a convenienza

Il dato che risalta è quello di un’Europa popolata e in crescita demografica, ma soprattutto – e non viene detto – lo scontro fra civiltà sedentaria e contadina, urbanizzata e civiltà nomade, fatta di uomini e donne che ignorano il concetto di confine, abituate a spostarsi da una terra all’altra, a passare fiumi senza pensare che proprio quel fiume – Danubio o Reno – è in realtà un limes e che da quel punto in avanti bisogna soggiacere a un controllo, dipendere da un’autorità lontana che sa imporre la sua forza con le armi lungo tuti i suoi confini.
I barbari vogliono stanziarsi, oppure passare, depredare e tornare da dove sono venuti dopo la razzia. Roma reagisce in molti modi: a volte si mette d’accordo in cambio di uomini da reclutare. A volte permette alle tribù di stanziarsi nel territorio imperiale; altre ancora stermina tutti, altre ancora deporta i popoli in zone lontane dell’impero allo scopo di ripopolarlo o di impiegare le genti come schiavi per lavori di pubblica utilità o al servizio dei latifondisti.
La logica imperiale romana è uguale a quella degli altri imperi che conosciamo: conquistare, sterminare, spostare interi popoli o imporre la leva forzata. Lo ha fatto l’impero ottomano con i giannizzeri, lo ha fatto Stalin con i vari popoli e tribù dell’Unione Sovietica. La condizione è quella di possedere territori e risorse sufficientemente ampi e vasti da poter ospitare e nutrire tutti.

La logica dell’impero

La logica dell’impero è universale. L’universo coincide con l’impero e non esiste nulla al di fuori di esso. I confini dell’impero sono i confini del mondo. Le dinamiche migratorie sono le stesse di ogni tempo e oggi come allora siamo allo scontro di diversi modi di intendere il tempo, le relazioni familiari, economiche e sociali.
Anche ai nostri giorni nel cosiddetto terzo mondo le logiche sono le stesse, passando da una fase di campagna, seminomade o contadina a una urbana con il risultato delle sterminate megalopoli sovrappopolate in Africa, Sud America e sud est asiatico. Il trasferimento campagna – città avviene all’interno dello stesso Stato o continente.
La generazione nata in città vede oltre; i migliori scappano, quelli più svelti con i soldi, i più forti e intelligenti, quelli bravi a usare un’altra lingua e ad imparare in fretta. Il migrante diventa nomade ma passa da razziatore ad ostaggio, subisce umiliazioni e torture, patisce fame e malattie, muore di caldo, di consunzione, di fatica dopo giorni trascorsi nel deserto, trasportato e venduto da un gruppo di predoni all’altro.
Il suo corpo diventa merce per tutti gli abitanti dei territori che attraversa. Non è più un razziatore. E’ solo e debole. Partito da forte e migliore del suo popolo, diventa subito anello debole.

L’appropriazione della terra, il vecchio schema di accumulazione primaria

Per molti versi l’Africa subsahariana è un’implosione di Stati che causa genocidi, terrorismo e movimenti di popoli, a loro volta alimentati dall’accaparramento delle terre migliori da parte di compratori stranieri, russi, sauditi, cinesi, ma anche europei, americani.
Tutte multinazionali che scacciano gli originari abitanti di quelle terre, o impediscono il passaggio alle tribù. Qui nascono i banditismi e i sequestri, le violenze, il fondamentalismo. Da qui partono le moltitudini in fuga da epidemie, stragi e insicurezza, che trovano sbocco verso l’Europa attraverso un altro Stato fallito, la Libia, in mano a bande di trafficanti di uomini.
A scatenare i movimenti di popoli verso un’unica direzione è la mancanza di frontiere o la porosità delle barriere, ma la causa è esterna ai confini.
Gli Stati europei chiudono il limes. Dove i partiti populisti di destra sono al governo si alzano le palizzate e si chiude a tutto quello che arriva da fuori. All’interno valgono le leggi dell’impero, che può disporre delle masse come vuole e agita la paura di quelli che arrivano da fuori (tutti banditi, stupratori, terroristi o, al minimo, approfittatori) come strumento di dissuasione, come deterrente per adottare pratiche e leggi odiose e imporre il controllo su tutti.
Quelli di fuori sono liberi e miserabili, delinquenti e fuori controllo. Quelli dentro sono educati e coscienziosi, rispettosi delle leggi e onesti cittadini che (pagano) le tasse.
Alla fine tutte le pratiche per far nascere nuovo capitale convergono sempre sulla violenza sull’uomo, sul più debole. Privatizzare la terra, l’acqua, cacciare tribù e popoli dai loro territori, oppure impedirne il passaggio. Sono gli inizi del capitalismo dai tempi del ‘500/600 dei Tudor, che hanno portato a due secoli di schiavitù e pirateria.

I barbari a protezione dell’Impero

Al tempo dell’Impero Romano i fatti scatenanti erano gli stessi di oggi. Guerre lontane causavano spostamenti di popolazione attraverso le steppe asiatiche e le foreste del centro Europa. Quello che non viene raccontato a sufficienza è la disponibilità di terre in cui spesso accogliere queste tribù.
Durante il secondo e il terzo secolo due epidemie, di vaiolo e di peste, flagellano l’Europa e non abbiamo abbastanza dati per renderci conto della loro portata, ma si aprono vuoti all’interno dei territori dell’Impero, che significano minori introiti fiscali, minori derrate da accumulare nelle scorte e maggiore debolezza di fronte a carestie o epidemie.
I Barbari svela il bisogno dell’Impero di arruolare sempre più uomini per rimpiazzare i vuoti degli organici causati dalle epidemie. E’ un processo che dura due secoli e parte dall’arruolamento forzato di prigionieri di guerra o dall’obbligo delle popolazioni vinte di fornire uomini per la leva. I barbari Alemanni, Franchi, Goti, Sarmati, ma anche Arabi a sud fanno comodo perché ripopolano le terre abbandonate e le rimettono a frutto, pagano le tasse e in cambio l’Impero concede loro la cittadinanza.
Gli imperatori erano riusciti a trasformare un problema (gli attacchi e scorrerie alle frontiere) in una duplice opportunità. Vero è che dopo Traiano la politica di espansione dell’Impero si arresta e l’esercito viene impiegato a protezione di confini che partivano dalla Britannia al Reno, dal Danubio all’Eufrate e dal deserto a sud. L’unico altro rivale era l’impero persiano dei Sassanidi e nonostante ripetute guerre, nessuno dei due grandi imperi aveva potuto affermarsi sull’altro e prenderne il posto.

La gestione dei barbari ragion d’essere dell’Impero

Ne I barbari viene raccontato di alcune tribù barbare al di là del Danubio – Goti o Sarmati – che avevano offerto i loro territori alla potestà imperiale, ma il sovrano di turno aveva rifiutato la proposta, perché doveva aver valutato di non avere abbastanza risorse da permettersi la protezione di un territorio ancora più vasto.
La fine dell’espansione territoriale e la decisione di Adriano – successore di Traiano – di non andare oltre nelle conquiste di altri territori segna l’inizio di una crisi lunga tre secoli.
L’impero ha una sua ideologia ed è curioso che ai nostri occhi un’organizzazione fatta di burocrati ed eserciti che massacri intere tribù, ne riduca altre in schiavitù, un impero che obbliga alla coscrizione le popolazioni vinte possa usare “le libertà romane” come ideologia per imporre la propria sovranità o le proprie condizioni in trattati di pace.
Secondo gli agiografi, che poi sono le uniche fonti o le più abbondanti e chiare a noi pervenute, vivere sotto il dominio dell’imperatore romano era preferibile al dispotismo dei tiranni Sassanidi. D’accordo, era tutta ideologia, e non abbiamo idea se i persiani usassero gli stessi argomenti per giustificare una presunta superiorità di costumi, di lingua, di civiltà.
Ha avuto ragione Marguerite Yourcenar nell’introduzione alle Memorie di Adriano ad affermare che il suo regno era stato l’apice della grandezza romana, mai più replicata. Quella somma di pace e ricchezza ha generato la costruzione di nuove città, in un’apparente disponibilità infinita di risorse, che non si è più ripetuta.
Quindi da quel momento – in mancanza dello scopo che ha sospinto la politica di Roma fino a quel momento, e cioè l’espansione dell’Impero e l’imposizione della pax Romana – si genera un circolo vizioso: gli imperatori combattono i barbari o li assimilano o deportano come coloni oppure come schiavi e tutto questo al fine di rimpinguare le fila dell’esercito e difendere i confini da altri barbari, che a loro volta verranno arruolati a coprire i vuoti lasciati dagli ausiliari barbari caduti nelle varie campagne al confine.
L’impero trova nella gestione dei barbari una nuova ragione di esistere che prolungherà la sua vita da una crisi all’altra ancora per tre secoli.